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Questo articolo è stato pubblicato il 07 luglio 2013 alle ore 08:25.

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di Luca Tremolada
Amici (e nemici) lo definiscono una macchina da guerra. Per Andrea Rangone in fondo è un complimento. Adesso poi che coordina oltre agli osservatori del Politecnico di Milano (5 milioni di euro all'anno) anche il progetto Startup boosting è ancora più «temibile». «Nella zona Bovisa di Milano abbiamo già 1.500 metri quadrati che ospitano 25 startup – racconta –. Stiamo costruendo un altro edificio per arrivare a settembre a 50 startup, il doppio». Al progetto e al progettista le ambizioni non mancano e neppure le risorse. Il rettore del Politecnico nell'affidare a Rangone Polihub ha promesso che lo supporterà per almeno due anni (il break even è previsto il terzo anno). Il che significa che Rangone deve fare in fretta. «Partiamo dalla definzione: formalmente Polihub è l'incubatore gestito dalla Fondazione Politecnico di Milano con il contributo del Comune di Milano. Nella pratica vuole mettere a fattor comune startup, district e incubator. Vale a dire Milano, i saperi del Politecnico, il bacino di competenze di studenti e Phd e la presenza dei grandi vendor dell'Ict».
La nostra partita, osserva, «non inizia adesso». Il Politecnico di Milano da più di dieci anni produce startup e startuppers». L'elenco effettivamente è vasto. Ma Rangone si concentra sugli ingegneri gestionali: Alessandro Fracassi ha fondato Mutuionline; Vito Lomele con JobRapido è stato protagonista l'estate scorsa di una delle poche e più importanti exit italiane; Lorenzo Thione con la sua Powerset è volato a Redmond per progettare il motore di ricerca Bing; Andrea Vaccari con la sua Glamcee è invece atterrato alla corte di Mark Zuckerberg. Tutti ingegneri del Polimi, gonfia orgoglioso il petto. «Mi ricordo in aula Antonio Tomarchio di Beintoo: era uno schizzato si è anche lamentato a distanza di tempo perché gli ho dato un voto basso».
Questa carica di ingegneri sono un elemento che servirà per fare massa critica. «Dopo la new economy – riflette – è come se avessimo buttato via il bambino con l'acqua sporca. Non siamo mai riusciti a innescare un circolo virtuoso e senza nulla togliere a Firenze o agli altri incubatori in giro per l'Italia sono convinto che qui a Milano possa nascere qualche cosa di importante». Il modello di business di Polihub è quello di puntare sull'incubatore puro. Non prendono quote sul capitale delle startup come ad esempio H-Farm. Si paga un affitto a scrivania (qualche centinaio di euro al mese) per l'accesso a tutte le risorse del Politecnico. «Accanto alle startup voglio aziende che hanno già avuto successo magari forti di fatturati milionari. E poi credo molto nell'ibridazione. Unire mondo delle startup e quello delle multinazionali dell'Ict per innovare insieme. Organizzare call for ideas verticali per aiutare i piccoli a lavorare con i grandi. Sto pensando anche di organizzare hackathon con sviluppatori all'interno di player tradizionali». Sono chiaramente queste ultime le voci di business più interessanti. Offrire servizi, sviluppo di software e idee alle imprese tecnologiche magari sfruttando il database di 1500 indirizzi tra decision maker ed esperti raccolto negli anni attraverso gli Osservatori del Politecnico. In questo senso Rangone è davvero una macchina da guerra. Tanto che da più parti la pressione è quella di tenere insieme più soggetti istituzionali e accademici. «In autunno lanceremo un programma comune con altre 12 facoltà di ingegneria», risponde il professore. Una cosa tra ingegneri? «Beh – ci pensa un po' – direi di sì».
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