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Questo articolo è stato pubblicato il 10 luglio 2013 alle ore 15:19.

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Camillo Ricordi (Imagoeconomica)Camillo Ricordi (Imagoeconomica)

Eliminare per sempre la schiavitù dell'insulina. È questo l'obiettivo di una tecnica innovativa, ormai uscita dalla fase sperimentale, quella del trapianto di isole pancreatiche. Ogni anno in Italia si praticano circa 20 trattamenti di questo tipo, sui circa 100 al mondo, nei tre centri che hanno iniziato il programma per questo approccio ad altissimo contenuto tecnologico: il San Raffaele e il Niguarda a Milano e l'Ismett a Palermo.

«Oggi questa terapia riesce a portare a completa indipendenza dall'insulina a tre anni il 44%dei pazienti trattati – spiega Lorenzo Piemonti, vicedirettore del San Raffaele Research Institute e direttore del programma trapianto di isole, in occasione dell'International conference of The Cts, il congresso mondiale sulle terapie cellulari in corso a Milano. Questi risultati sono molto vicini a quelli del classico trapianto di pancreas, che quindi in futuro potrebbe essere sostituito da questa metodica che peraltro ha indicazioni molto precise e stringenti». La tecnica può infatti essere effettuata in base di "brittle diabetes", ovvero le forma di diabete di tipo 1 (quello che colpisce i giovani ed è su base autoimmune), che non viene controllato con i farmaci.

C'è comunque una sfida da vincere: riuscire a modificare la risposta immunitaria che in qualche modo riduce l'efficacia di queste cure. Per questo si sta conducendo uno studio clinico che punta a valutare la protezione delle cellule trapiantate ottenibile con un farmaco frutto della ricerca italiana di Dompé, reparixin, attualmente in studio in 5 Paesi in Europa, e Usa. «L'obiettivo è avere i risultati di questo approccio entro la fine del 2014, nella speranza che il trattamento possa ancora migliorare i risultati della metodica e offrire l'insulino-indipendenza a una percentuale ancora più elevata di malati – fa sapere Piemonti». "Dompé ha scelto di sviluppare questo e altri farmaci indicati nel trattamento delle malattie rare conscia dell'importanza di una rete globale che coinvolga la scienza e le istituzioni per la crescita dell'innovazione – sottolinea Eugenio Aringhieri, ceo del Gruppo Dompé. È importante per il sistema Paese che un farmaco attualmente sperimentato in tutto il mondo, primo per questa indicazione, possa migliorare una procedura così importante per i pazienti».


Il futuro. Secondo Camillo Ricordi, direttore del Diabetes Research Institute di Miami, questo tipo di farmaci potrebbe rivelarsi fondamentale per allargare questo trattamento, visto che dal punto di vista clinico è relativamente semplice da eseguire. Si prelevano le isole pancreatiche, più o meno l'1-2 % del totale dell'organo, si purificano e si immettono direttamente all'interno del fegato, dove queste svolgono la loro funzione di produzione di insulina. «Nel momento in cui avremo la certezza di poter influire sull'infiammazione con i farmaci si potrebbero eseguire annualmente milioni di trattamenti di questo tipo – precisa Ricordi. Ma soprattutto si potrebbe ampliare questo tipo di approccio a numerose malattie croniche, oltre al diabete, che vedono proprio nell'infiammazione un momento chiave del loro sviluppo e del loro mantenimento».

Il problema, a questo punto, è valutare la sostenibilità di un sistema di cure così specifico che, nato per una condizione rara, potrebbe allargarsi anche ad altre condizioni patologiche molto più frequenti. Fondamentale, in questo senso, è individuare centri di eccellenza che svolgano l'intero percorso del trattamento e siano "staccati" dalla mera logica regionale per entrare in una dinamica nazionale. «Le procedure diagnostiche e terapeutiche mostrano elementi di complessità significativamente diverse rispetto ai farmaci – fa notare Mario Del Vecchio, direttore dell'Osservatorio sui consumi privati in sanità presso la Sda Bocconi di Milano. Ora, nell'ottica di promuovere e sostenere la ricerca e l'innovazione, occorre capire come salvaguardare il futuro rispettando i vincoli del presente. Ciò implica necessariamente un ragionamento più attento e meccanismi più espliciti attorno al percorso che va dalla ricerca (imprese e organizzazioni sanitarie di eccellenza), alla introduzione dell'innovazione al suo consolidamento nella pratica clinica».

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