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Questo articolo è stato pubblicato il 06 agosto 2013 alle ore 18:52.

C'è stato un momento in cui Donald Graham, quando era amministratore delegato del Washington Post, ha valutato un investimento su Facebook: era la metà degli anni Duemila e il social network aveva ampliato i confini alle università negli Stati Uniti. Tra gli iscritti annoverava le figlie di Graham che ne avevano parlato entusiaste al loro papà. Era chiaro che sarebbe stato uno spazio di conversazione capace di attrarre pubblico. Ma non era altrettanto chiaro quanta strada avrebbe fatto in uno scenario piuttosto competitivo.
Quella che allora era una piccola startup fondata da studenti di college aveva già una visione definita su come avrebbe dovuto crescere. I colloqui non proseguirono. Ma Graham conquistò la fiducia del numero uno di Facebook, Mark Zuckerberg: entrò a far parte del consiglio di amministrazione del social network.
L'intuizione delle reti sociali online
Il Washington Post ha sempre coltivato l'attenzione per i social media anche quando erano frequentati da piccole nicchie di utenti. E ha accelerato sulla personalizzazione delle notizie. Ad esempio all'interno dei WaPo Labs ha sviluppato Trove: è un aggregatore che riunisce le fonti dal web in una singola pagina evitando di dover arrivare in altri spazi online. Contribuisce a risparmiare tempo e a costruire una bacheca digitale ritagliata sugli interessi degli iscritti. È stato tra i primi a varare un social reader integrato con Facebook. L'attenzione nelle sperimentazioni emerge anche con Socialcam, una piattaforma per registrare e condividere video che ha visto una rapida ascesa, poi ha rallentato il passo ma conserva una vasta platea.
Il quotidiano di Washington ha indagato anche sull'etica giornalistica nei social media. Ha varato una social media policy: prevede, ad esempio, che un reporter si presenti come tale nelle reti sociali digitali quando svolge la sua attività professionale. Inoltre ha creduto nel ruolo dei social media editor all'interno delle redazioni per discutere con il pubblico online.
Le formule della verità
Uno degli ultimi esperimenti visionari è stato Truth Teller, una macchina della verità capace di controllare se le affermazioni durante un dibattito sono vere oppure false. Adopera una piattaforma software che trascrive le parole pronunciate e poi abilita un confronto attraverso un archivio di eventi verificati. Gli spettatori vedono i risultati in diretta. Il Washington Post ha una straordinaria tradizione di innovazione digitale. E con l'acquisto da parte di Jeff Bezos ha un'opportunità di proseguire sul confine tra giornalismo e web.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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