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Questo articolo è stato pubblicato il 11 agosto 2013 alle ore 14:54.

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In un'intervista del 1996, Steve Jobs cita Pablo Picasso: «I buoni artisti copiano. I grandi artisti rubano». E commenta parlando delle sue aziende: «Noi abbiamo sempre rubato grandi idee senza vergogna». In effetti, ai tempi del Macintosh, una dozzina d'anni prima, la grande idea dell'interfaccia grafica di Jobs era stata "ispirata" se non "rubata" al Parc della Xerox. Nel 2010, forse in un momento di rabbia, Jobs si sarebbe contraddetto: «Distruggeremo Android perché è un prodotto rubato».

Come dire: «Un grande artista ama rubare ma non essere derubato», ha commentato Kirby Ferguson, autore di "Everything is a remix". Sta di fatto che non è scoppiata una sanguinosa guerra dei brevetti tra Apple e Google, sebbene sia stato proprio Android ad aver reso possibile l'avvento dell'iPhone. Perché? Forse perché i brevetti del software sono talvolta ambigui, dunque costosi da difendere e attaccare. Ma qualcuno può pensare che ci sia un altro motivo: entrambe le aziende sono americane. La Samsung, invece, è coreana.
Non può essere solo questo. In effetti, Apple ha vinto su brevetti che sono un mix di hardware e software, dunque abbastanza precisi da definire. Mentre le contestazioni più eteree sono state saggiamente lasciate cadere dai giudici.
Ufficialmente la protezione brevettuale serve a ripagare gli innovatori per gli investimenti che effettuano nella ricerca e per questo la legge garantisce una deroga alla libertà di mercato per qualche tempo e crea un monopolio artificiale a protezione dell'invenzione. In pratica però il brevetto è molto spesso più facile da concedere che da difendere in tribunale, sicché succede che le grandi aziende, con i muscoli finanziari necessari per acquistare grandi pacchetti di brevetti da altre aziende, se ne possono giovare meglio delle piccole. Soprattutto se ne giovano per apparire innovative. In effetti, a che servono i brevetti se una decisione arriva dopo due anni di controversie legali e riguarda prodotti ormai usciti dal mercato? Che sia più che altro un fenomeno di storytelling?

Verrebbe da pensarlo. Quando Steve Jobs presentò il primo iPhone, nel 2007, disse con tono scherzoso: «Abbiamo inventato una nuova tecnologia, il multitouch. E, accidenti ragazzi, l'abbiamo brevettata». Jobs sapeva di averla sparata grossa. Come riporta Ferguson, nel 2006 Jeff Han, scienziato e imprenditore, ha presentato uno schermo multitouch dicendo: «Non è niente di nuovo. Bill Buxton (pioniere della ricerca sull'interazione uomo-macchina) ci lavorava già negli anni Ottanta...». Ma Jobs non aveva mentito, aveva solo applicato il suo famoso campo di distorsione della realtà. In realtà, i brevetti c'erano, erano limitati ad alcuni particolari precisi di un modo specifico di far funzionare gli schermi che si comandano toccandoli in più punti. Ma poiché nessuno aveva mai visto un telefono che funzionava in quel modo, il racconto sintetico di Jobs riusciva a far vedere qualcosa che era più grande della realtà. I brevetti erano parte del racconto.
La credibilità del sistema dei brevetti è intaccata se lo riduce a un elemento di una strategia più di comunicazione che di ingegneria. Che fa entrare in campo la politica. Per ritrovare dignità i brevetti devono crescere in prestigio e diminuire in estensione. Meno ambiguità, meno politica, più sostegno all'innovazione. Anche per quella delle piccole aziende.

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