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Questo articolo è stato pubblicato il 01 settembre 2013 alle ore 13:57.

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Jeff SmithJeff Smith

Il programma è ambizioso: riportare la musica alla gente, «renderla di nuovo folk», dice Jeff Smith. Lui è un innovatore atipico anche nella Silicon Valley, un posto in cui di innovatori atipici se ne sono visti a bizzeffe. Dopo una laurea in informatica, a metà del suo dottorato in Computer music sempre a Stanford, Smith ha fondato una società di security per la posta elettronica, che ha quotato in Borsa e poi ceduto. Quindi, nel 2008, insieme al professore associato Ge Wang sempre di Stanford, ha avviato un'altra startup: Smule. In cinque anni Smule ha assunto settanta persone, raccolto 100 milioni di utenti, aperto una sede nel cuore di San Francisco, acquistato server e capacità di calcolo per fare cloud computing, e acceso l'interesse dei capitalisti di ventura della valley. Come succede quotidianamente o quasi tra San Jose, Cupertino e Mountain View. Invece, la cosa che ha reso unica la storia di questa piccola azienda è l'obiettivo: Smule si occupa di musica, e ha intenzione di rivoluzionarla grazie ai social media e alla rete.

«Prima – dice Smith – se volevi la musica dovevi saper suonare o almeno cantare. Poi, è cambiato il mondo: circa cento anni fa sono arrivate le registrazioni, poi la radio, i dischi. Non ce n'è stato più bisogno di saper suonare e cantare: la musica è diventata parte dell'esperienza quotidiana e da allora viene sempre fatta da professionisti. Questo è magnifico, ma la nostra sensazione è che la gente voglia ancora suonare e cantare, anche se non sa più come farlo, anche se gli riesce male. Le nostre app per smartphone nascono per questo: creare una comunità di consumatori che diventano attori, che fanno musica e non solo l'ascoltano».

Smule ha iniziato con una serie di piccole app per l'iPhone di Apple, il primo store che ha permesso a sviluppatori indipendenti di raggiungere un pubblico di potenziali acquirenti e competere in un marketplace privo di barriere per la distribuzione. «Abbiamo creato Ocarina – dice Smith –, un piccolo software assolutamente folle a pensarci adesso, che permette di suonare soffiando nel microfono dell'iPhone e premendo su quattro fori virtuali sullo schermo dello smartphone. Ancora oggi è una app che vende tantissimo. Soprattutto perché si possono inventare melodie e condividerle con tutto il mondo».

Se Smule si fosse accontentata del primo giro di app, però, sarebbe rimasta una piccola società che sviluppa software per l'intrattenimento su iPhone. Invece, l'ambizione è molto più grande, dopo sono seguite Magic Piano, Autorap, Glee karaoke, Guitar!.

Nel loft nella zona a sud di Market street a San Francisco, la cosiddetta SoMa, i dipendenti di Smule entrano in un ambiente atipico anche per una startup californiana. Tra i muri di mattoni a vista e con l'impianto antincendio lungo il soffitto dai toni scuri, tra le scrivanie, i divani e il cucinotto, c'è una piccola orchestra: pianoforte a coda lunga, batteria, basso e chitarra, microfoni, quattro o cinque iPad sospesi su stand. «Per le jam session: tutti quelli che lavorano qui condividono la passione per la musica», dice Smith. Che sta costruendo una rete di app che è un vero e proprio social network distribuito.

«Prima ci appoggiavamo al cloud di Amazon, adesso abbiamo il nostro datacenter. Il traffico sta esplodendo: ogni giorno entra mezzo terabyte di dati e ne escono 50. Stiamo cercando di riportare la musica alla gente, renderla popolare di nuovo, grazie al fatto che con gli smartphone tutti hanno un super-computer sempre connesso in tasca. Già oggi possiamo raggiungere mezzo miliardo di persone». Con una app si parla nel telefono e un sofisticato algoritmo trasforma il parlato in rap, correggendo intonazione, metrica, ritmo. Un'altra permette di fare karaoke e poi l'audio diventa la base per collaborare con un altro chitarrista virtuale dall'altra parte del pianeta, con il feeling unico di suonare con un vero cantante. Sono persone in tutto il pianeta che suonano, cantano, giocano con la musica e si collegano tra di loro. Dietro ci sono alcune delle migliori menti dell'informatica musicale di Stanford, del Georgia Tech e dell'Mit. Ma davanti c'è un'idea semplice quanto esplosiva: riportare la musica a coloro ai quali appartiene

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