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Questo articolo è stato pubblicato il 29 settembre 2013 alle ore 08:28.
Quanti di coloro che usano tutti i giorni un computer, un tablet o uno smartphone sanno che a creare il primo microprocessore fu un italiano? Fu infatti il vicentino Federico Faggin a progettare nel 1970 per conto di Intel il chip 4004, il modello da cui è discesa gran parte dei processori successivi.
Faggin, che in un secondo tempo ha acquistato la cittadinanza statunitense e ha fondato Synaptics, azienda produttrice di interfacce uomo-macchina di cui ora è presidente emerito, è tornato in questi giorni in Italia. Ha ritirato a Firenze il premio Galileo 2000, che gli è stato conferito per la sua carriera di innovatore scientifico, e parlerà domani alla prima Conferenza internazionale sulla Scienza del Pensiero Creativo, organizzata dal Marconi Institute for Creativity e che si sta svolgendo a Bologna.
Difficile, per parlare di creatività e innovazione, scegliere una persona più adatta. Lui però si schermisce: «All'epoca capivo che si stava verificando una rivoluzione importante, avevamo una visione: fare le cose con il software invece che con l'hardware. Ma non avrei lontanamente immaginato internet o il telefono cellulare. Del resto, nemmeno gran parte degli scrittori di fantascienza ci è riuscita».
Il Pensiero Creativo, forse, è proprio questo: saper vedere una potenzialità che non è evidente per tutti. «Sì, essere creativi significa saper pensare l'impensabile. È una meravigliosa proprietà del cervello umano che non è ancora ben compresa, e che non viene riprodotta dalle macchine che costruiamo. Gli algoritmi che usiamo per elaborare l'informazione sono totalmente deterministici, prevedibili. La creatività, invece, non è algoritmica: esce dagli schemi».
Alla Mic Conference Faggin racconterà come l'azienda che ha fondato e diretto sia riuscita a creare le interfacce sensibili al tocco, oggi diffuse nella grande maggioranza dei dispositivi elettronici, sviluppando la creatività di un piccolo gruppo di persone. Ma si può insegnare a essere creativi? «Più che insegnare, la creatività si può coltivare, nurture, come direbbero negli Usa. Se una persona ha un talento di base, le si può insegnare a sfruttarlo e a migliorare. Ma senza una base da cui partire, non c'è insegnamento che tenga».
È proprio il padre del microprocessore, dunque, a frenare gli entusiasmi di chi pensa che un computer possa essere creativo. Ritiene recisamente che solo gli esseri umani siano dotati di una visione, di un punto di vista unico che nasce dall'interazione col mondo e con gli altri esseri umani e che può portare a realizzare qualcosa di nuovo. Quella dei computer, a suo avviso, può essere al massimo un'illusione di creatività, come i disegni generati da algoritmi frattali, che possono sembrare arte autentica al profano, ma non stupiscono chi ne conosce l'origine.
Ricevendo il premio Galileo 2000, Faggin ha prospettato un futuro non troppo remoto in cui biologia e informatica si incroceranno, e i computer useranno le potenzialità delle molecole viventi per ottenere risultati oggi inimmaginabili. Ed è disposto ad ammettere che una macchina dotata di cellule nervose possa mostrare consapevolezza. Resta invece scettico sui tentativi odierni di creare un computer cognitivo imitando le sinapsi via software. «Già negli anni Ottanta noi di Synaptics abbiamo cercato di realizzare programmi in grado di apprendere, ma non siamo mai riusciti a creare un software general purpose, che andasse oltre le applicazioni specifiche. Non mi sembra che da allora siano stati fatti grandi passi avanti nell'architettura del software. I tentativi attuali contano soprattutto su una maggiore potenza di calcolo. A mio avviso non è molto per sperare in un risultato».
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