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Questo articolo è stato pubblicato il 06 ottobre 2013 alle ore 15:20.

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Ecco come il cloud può aiutare la pubblica amministrazione

Il futuro del cloud computing passa da un nuovo equilibrio tra accentramento delle competenze e impegno sui territori. Così il cloud potrà assolvere il proprio compito di acceleratore dell'Agenda digitale, cambiando il tessuto sociale e industriale italiano.
Sta prendendo questa forma l'impegno dei principali attori del settore: istituzioni deputate all'Agenda e fornitori di servizi. Per esempio lo si vede nel piano che hanno in mente adesso l'Agenzia per l'Italia digitale e Francesco Caio (commissario alla Presidenza del Consiglio per l'Agenda).
«Le Regioni diventeranno le responsabili dell'Ict pubblico e quindi si faranno portatrici di accentramento di servizi e infrastrutture per la Pa», dice Agostino Ragosa, direttore dell'Agenzia. Nasceranno così i primi datacenter nazionali per l'Ict nella pubblica amministrazione, a cura delle Regioni. Saranno circa due (o poco più) per regione, quindi 40-50, contro i 4-5mila Ced (Centri elaborazione dati) ora sparsi tra Pa locali e centrali. La razionalizzazione dei Ced vale risparmi per 5,6 miliardi di euro in cinque anni, per l'Italia, secondo una stima degli Osservatori Ict del Politecnico di Milano.
È logico che l'accentramento delle infrastrutture si sposi con quello dei servizi. La chiave fondante del cambio di paradigma è proprio il cloud. I nuovi servizi digitali previsti dall'Agenda, come il fascicolo sanitario elettronico e l'anagrafe nazionale della popolazione, saranno presenti su datacenter (non solo quelli regionali ma anche quelli di privati) e da qui utilizzati via cloud dalle singole Pa e dai cittadini. E' previsto per novembre il primo bando per i servizi cloud pubblici, da 2 miliardi di euro.
Servizi e nuovi datacenter vanno di pari passo, perché «possiamo mettere i dati importanti della Pa e dei cittadini solo su server che rispondano ad alti requisiti di sicurezza e affidabilità», dice Ragosa. È necessario anche che siano collegati in banda larga a infrastrutture capillari, che arrivino a tutti i Comuni. Cambiare l'Italia in questo modo richiede quindi interventi di sistema, perché un solo tassello fuori posto nel piano (come può essere un collegamento di rete inaffidabile dal centro alla periferia) può farlo fallire del tutto.
È la stessa filosofia perseguita da alcuni grandi vendor. Hanno capito che il cloud può servire per diffondere il digitale nelle aziende italiane, ma da solo non basta. Deve essere sostenuto da un lavoro di tutti gli attori, per la maturità dell'offerta e lo sviluppo della cultura digitale sul territorio.
La pensa così .icrosoft, che ha presentato in settimana una ricerca Ipsos Mori secondo cui il 44 per cento delle pmi già usa il cloud e ne ricava vantaggi per il proprio business. «Peccato però che spesso alle Pmi mancano le risorse e nel 42% dei casi non hanno nemmeno un It manager», dice Vincenzo Esposito, direttore della Divisione Piccola e Media Impresa e partner di Microsoft Italia. "Ecco perché Microsoft s'impegna per accompagnare le Pmi nel loro percorso di innovazione con la consulenza dei 27 mila partner presenti sul territorio e con iniziative di formazione, tra cui la recente "Digitali per crescere", aggiunge.
La domanda di digitale insomma non cresce da sola, in Italia. Va accudita. Con la divulgazione e con le infrastrutture. E non dall'alto ma lavorando sui territori. Come fa l'operatore trentino Brennercom, che offre servizi cloud e al tempo stesso, questa settimana, ha annunciato un collegamento a 100 Gigabit tra i datacenter di Trento e Bolzano.
Il cammino però è ancora lungo. «Lo scoglio più difficile sarà trovare la quadra tra coinvolgere i territori e al tempo stesso armonizzare le differenze normative che sono ancora enormi, tra una Regione e l'altra, per i servizi digitali», dice Stefano Cecconi, amministratore delegato di Aruba, uno dei principali provider europei. «Ogni Regione ha regole diverse. Alcune non vogliono mettere su datacenter privati i dati giudiziari e sanitari», aggiunge. L'Italia unita dell'Ict è ancora da farsi. Ma molti ci stanno provando con entusiasmo nuovo.

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