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Questo articolo è stato pubblicato il 06 ottobre 2013 alle ore 08:39.

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Il caso Telecom offre una grande opportunità, quella di affrontare finalmente il tema della gestione delle banche dati. Una questione che ha a che fare con la vita di tutti i cittadini italiani - compresi i futuri nati - perchè quei centri dati contengono tantissime informazioni su di noi (sanitarie, fiscali, giudiziarie...).
Nella vicenda Telecom/Telefonica il rischio non è infatti soltanto il controllo privato e straniero di un'azienda strategica per il Paese e delle sue infrastrutture. Perché il problema non è solo recuperare la piena proprietà pubblica delle reti su cui passano le comunicazioni degli italiani. Ci sono rischi e problemi che riguardano un altro servizio offerto, anche se non in via esclusiva come nel caso della rete, da Telecom: la "nuvola" italiana, cioè il servizio di gestione di banche dati con tecnologie cloud. Sempre più amministrazioni pubbliche - secondo logiche di flessibilità organizzativa ed efficienza che le tecnologie cloud consentono - affidano la gestione delle banche dati a società private che come Telecom offrono questo servizio (Google, Microsoft). L'Ente pubblico però trascura spesso un aspetto: che non sa dove quei dati risiederanno. Questa è la caratteristica dei sistemi cloud: i dati possono risiedere ovunque. Normalmente risiedono nelle server farm delle società private che offrono i servizi, e questi farm possono essere collocati anche in un altro Paese rispetto a quello di residenza degli utenti. Il rischio è che succeda come per la rete fissa Telecom: che un bel giorno ci si svegli e ci si renda conto di non sapere dove sono i dati sensibili dei cittadini. E ci si accorga di aver perso l'occasione.
Stella Targetti, vicepresidente
della Regione Toscana
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