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Questo articolo è stato pubblicato il 20 ottobre 2013 alle ore 08:52.

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In un'ecologia dei media dominata dal computer e internet, e da un'inarrestabile ascesa del video sul web, cosa sta facendo la televisione? Per un verso cerca di adeguarsi, provando ad affiancare a un'offerta "classica" anche contenuti e spazi online. Per un altro si sta trasformando in una una web tv. Con la smart tv – un ibrido tra un televisore e un computer connesso –, lo stesso televisore accetta la sfida dei nuovi dispositivi in grado di offrire contenuti televisivi come notebook, smartphone, game console, tablet. Ma non è ovviamente solo un fatto di tecnologia e di dispositivi, vengono oggi a cadere alcuni elementi ritenuti fino a poco tempo fondanti, come il sistema di broadcasting tradizionale, la proposta generalista e l'idea di un palinsesto rigido e orizzontale. La tendenza oggi è invece la verticalità, un'offerta precisa per pubblici mirati, secondo un patto specifico, e inoltre l'interazione (se non la vera e propria interattività).
La televisione diventa allora un aggregatore o una piattaforma meglio se "sociale" come ha sottolineato Giampaolo Colletti nel suo intervento al convegno «Social Tv» tenutosi recentemente a Torino. «Una tv delle relazioni e non solo dei contenuti – spiega Colletti citando Jeff Jarvis – in cui la strategia fondamentale è creare una social community». Una social tv, nata dall'uso sempre più massiccio del cosiddetto second screen e cioè l'utilizzo di un device connesso con i social network con cui si fruiscono in maniera interattiva e condivisa i programmi. I social network forniscono uno spazio per l'amplificazione dei programmi televisivi, oltre a offrire uno spazio per una distribuzione alternativa. Inoltre orientano i gusti e indicano i trend: Vincenzo Cosenza di Blogmeter ha mostrato come i social network siano capaci di monitorare l'oscillazione dei gusti e definire il grado di impatto e di fedeltà che i programmi si aggiudicano. E infatti è stato recentemente lanciato Nielsen Twitter Tv Ratings, sistema di misurazione e apprezzamento televisivo basato sui tweet.
Ma il ruolo giocato dai social network non si esaurisce qui: la società Buzzmyvideos, per esempio, crede nel potenziale dei creativi di YouTube e fa scouting fornendo poi supporto tecnologico e la possibilità di professionalizzare l'offerta sui canali del più famoso social audiovisivo. Un canale, YouTube, che da semplice vetrina di contenuti degli utenti si sta velocemente trasformando in una vera e propria tv social. Anche in Italia sulle webtv qualcosa sta cambiando: se i primi tentativi (pensiamo a Cubovision di Telecom) ancora non hanno dimostrato un grande appeal, d'altro canto AltraTv aggrega già 1.350 webtv. Due fatti sono comunque evidenti: da una parte il movimento incessante dei giganti della rete e dell'It alla ricerca della giusta formula, della tecnologia più appropriata, e della strategia di business più efficace. Da Google Tv ad Apple Tv e Yahoo! Screen, fino ad Amazon Prime e i tentativi di realizzare una Kindle Tv (mostrando come la competizione passi anche attraverso i dispositivi "atipici" come tablet e console). D'altra parte è evidente la minaccia, soprattutto per i grandi asset come Rai e Mediaset (e anche per Sky, seppure in leggero vantaggio nelle strategie sull'online a partire da Sky Go), rappresentata dello sbarco, dato per imminente, di due colossi come Netflix e Hulu, che sono stati in grado di rivoluzionare il mercato statunitense. Un panorama in cui dalla trasmissione si passa al download e allo streaming, a pagamento o con servizi di abbonamento, con le modalità free e premium e quella ibrida cosiddetta freemium. In cui si offrono immensi archivi di repertorio, di user generated content e di produzioni originali. Molto si giocherà sui dispostivi mobile e quindi sulle app, e un problema sarà quello relativo all'offerta della banda.
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