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Questo articolo è stato pubblicato il 17 novembre 2013 alle ore 14:58.

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Climate Corporation è una startup acquisita qualche settimana fa dalla multinazionale biotech Monsanto per la bellezza di 930 milioni di dollari, quasi un miliardo per fare cifra tonda. Di mestiere, quelli della Climate Corporation (alle spalle hanno un ex di Google e uno dei fondatori di PayPall) combinano 30 anni di dati sul raccolto e sulle condizioni climatiche degli Stati Uniti con 14 terabyte di informazioni dettagliatissime sulle tipologie di terreno agricolo (lo zoom raggiunge quadrati di due miglia per lato). L'analisi di queste informazioni e quindi le previsioni che si possono effettuare hanno evidentemente un grandissimo valore per la Monsanto. Ma più interessante è l'orgine di questi dati. Tutte (o quasi) queste informazioni provengono dal dipartimento dell'Agricoltura americano che ha da tempo "liberato" il proprio archivio di dati. Dalla presentazione del presidente Barack Obama della direttiva sull'Open government nel dicembre 2009 a oggi moltissime Pa, istituti privati e organizzazioni hanno iniziato a pubblicare dati in formato open. Anche l'Italia garantisce dal 2009 l'accesso totale ai dati delle amministrazioni ma non ha una norma ampia e analitica come il Freedom of Information Act (Foia) britannico o statunitense. Anzi, nella realtà le barriere per cittadini e giornalisti del nostro Paese a guardare dentro i cassetti pubblici della Pa restano altissime (si legga http://www.dirittodisapere.it/). Eppure, gli open data generano valore, e anche parecchio. Per la prima volta un rapporto di McKinsey – che Nòva24 ha potuto consultare in anteprima – ha misurato i vantaggi che gli open data potrebbero portare all'economia. Già oggi, si legge nel report, gli open data stanno originando centinaia di attività imprenditoriali e stanno supportando le aziende già affermate a definire nuovi prodotti e servizi. In particolare, gli analisti di McKinsey hanno studiato una vasta gamma di esempi di come gli open data possano creare valore nelle organizzazioni pubbliche e private, nei mercati e nei prodotti e servizi in sette settori dell'economia mondiale : istruzione, trasporti, prodotti di consumo, energia elettrica, gas e petrolio, assistenza sanitaria, credito al consumo. I modi in cui il valore economico può essere realizzato attraverso l'uso di open data va da una migliore istruzione scolastica, che offre ai lavoratori le competenze necessarie ad aumentare la produttività e guadagnare salari più alti, alla possibilità per gli analisti di mercato di suddividere con maggiore successo le popolazioni in micro-segmenti per migliorare le prestazioni delle imprese attraverso la condivisione di dati e informazioni. I benefici per i cittadini, hanno calcolato a Mc Kinsey, vanno da 400 miliardi di dollari a 1.000 miliardi di dollari all'anno. Gli Stati Uniti potrebbero guadagnare un potenziale di 1.000 miliardi di dollari all'anno; l'Europa 900mila milioni dollari e il resto dei paesi 1.700 miliardi dollari. Numeri da big data e forse un po' troppo ottimisti. Il valore potenziale dell'utilizzo degli open data, avvertono infatti, si realizzerà solo se le imprese, i consumatori, e i politici si accorderanno sul tema della privacy e la protezione dei dati riservati, e sull'effettuare i necessari investimenti in tecnologia e funzionalità. «Il vero problema – spiega Oreste Pollicino, docente di Diritto dei media all'Università Bocconi e tra i promotori del convegno "E-privacy Big Data 2.0" che si è tenuto ieri a Milano – è armonizzare la normativa europea con quella statunitense. Senza accordi il rischio che corriamo è quello di erigere in Europa un muro molto alto con una riforma della privacy più rigida rispetto agli altri paesi e per questo inapplicabile a servizi e soggetti con sede fuori dal nostro territorio». Non solo. Una strada per democratizzare i big data e sfruttare il valore degli open data è inserire la privacy all'interno della progettazione dei servizi (privacy-by-design)

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