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Questo articolo è stato pubblicato il 25 febbraio 2014 alle ore 08:08.

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BARCELLONA – Cher Wang, la presidentessa di Htc, è partita da lontano, dall'evoluzione delle forme e dell'importanza del fattore per introdurre le novità della casa taiwanese al Mobile World Congress. Non ha quindi mancato di ricordare i premi raccolti dal top di gamma della collana di smartphone dell'azienda, la serie One, per cui ha azzardato il titolo di "miglior telefonino del mondo". E ha dato infine appuntamento a New York per il 25 marzo, data di lancio del suo successore, l'Htc One 2.

Peter Chou, il Ceo della casa taiwanese, ha da parte propria enfatizzato il principio dell'innovazione a livello estetico, giocando su quella che è ritenuta una virtù per uno smartphone, e cioè quello di essere bello. Da vedere e (anche) da usare. Può, però, un telefonino di fascia media avere queste caratteristiche?

I nuovi smartphone
La risposta (virtuale) di Chou a questa domanda è ovviamente affermativa e si chiama nello specifico Htc Desire 816, apparecchio con due fotocamere con sensore da 5 e 13 megapixel (quella posteriore), doppio altoparlante stereo e sistema audio BoomSound, interfaccia Sense, chip quad core Snapdragon da 1.6 GHz e naturalmente Android a livello di sistema operativo. Questo smartphone, confermano da Htc, è il primo modello della nuova fascia media del produttore per il 2014, ricalca il design ricercato della serie One e può operare sulle reti 4G Lte. In altre parole l'identikit di un telefonino smart al passo con i tempi. Concepito in diverse colorazioni, sarà venduto in Cina a partire da marzo e da aprile negli altri Paesi; in Italia lo vedremo a maggio con prezzi al pubblico a partire da 399 euro.
A Barcellona, pur senza esibirlo alla stampa, Htc ha presentato anche un altro terminale di fascia "mid range", il Desire 610. La promessa che lo accompagna è quella di un'esperienza audio-visiva di elevato profilo, grazie ad attributi quali lo schermo da 4,7 pollici e il sistema audio BoomSound, e di capacità di elaborazione e connettività sicuramente buone in virtù del processore quad-core e del supporto delle reti mobili di quarta generazione. Anch'esso disponibile in Italia a partire da maggio, verrà posizionato sui listini a partire da 299 euro.

Una app per la ricerca scientifica e il volontariato informatico
A giustificare (in parte) l'evento che la casa taiwanese ha tenuto fuori dalla Fira Grand Via, non è arrivato come previsto un gadget indossabile bensì un app. "Power to Give" è, a dirla tutta, qualcosa di più di un app, perché si tratta di un'iniziativa di
volontariato informatico che nasce per aiutare la ricerca in campo scientifico. Come?
Coinvolgendo quanti più possibili utenti di device Android a "donare" la potenza di calcolo inutilizzata dei propri smartphone a favore di progetti di ricerca finalizzati allo studio delle molecole umane e di altre materie di interesse sociale come la lotta contro il cancro, l'Aids e il morbo di Alzheimer o quella contro la sete. Scaricando l'app sul proprio telefono, questa l'idea alla base dell'iniziativa, si contribuirà a dare vita a una grande rete globale di device mobili, a una sorta di super computer fatto di tanti mini computer deputato a raccogliere grandi quantità di dati.

Come funziona questa app, attualmente in versione beta e sviluppata da Htc in collaborazione con David Anderson dell'University of California di Berkeley, l'inventore della Shared Computing Initiative Boinc? Al Sole24ore.com lo ha spiegato Gianni De Fabritiis, ricercatore presso l'Università Pompeu Fabra di Barcellona, il centro che ha dato vita al progetto Seti, Search for extraterrestrial intelligence. Quando "Power to Give" viene scaricato (dal Google Play Store) sul telefonino, è il server del centro di ricerca selezionato dagli utenti a collegarsi allo smartphone (in fase di ricarica e connesso a una rete WiFi) per estrarre le informazioni funzionali alle analisi.
Dove sta la grande idea dietro a "Poer To Give"? Secondo De Fabritiis non ci sono dubbi: un milione di smartphone connessi al servizio Power to Give sarebbero in grado di fornire una potenza di elaborazione enorme, simile a quella di uno dei 30 supercomputer oggi attivi del mondo, portando a una riduzione drastica dei cicli di ricerca.

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