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Questo articolo è stato pubblicato il 26 febbraio 2014 alle ore 07:44.
L'ultima modifica è del 26 febbraio 2014 alle ore 11:05.

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Lo hanno già ribattezzato il Mark Zuckerberg russo, ma è difficile credere che il paragone gli faccia piacere. Anzi, è molto probabile che di questo appellativo farebbe volentieri a meno. Perché Pavel Durov, programmatore 28enne di San Pietroburgo, vede Zuck come il fumo negli occhi. L'uomo da battere. Basta leggere il tweet del 24 febbraio cinguettato dal Mobile World Congress di Barcellona: «At #MWC listening to a guy who wants carriers to provide free access to Facebook. Can it postpone the slow death of FB?» («Al #MWC sto ascoltando un ragazzo (Zuckerberg su Internet.org, ndr) che vuole rendere libero l'accesso a Facebook. Riuscirà a rinviare la lenta morte di Facebook?».

Niente clamori, Pavel Durov è così. Prendere o lasciare. Forse non tutti sanno che il ragazzo più discusso della Russia, in realtà è nato a Torino. E proprio nel capoluogo piemontese ha frequentato le scuole elementari. Poi, quando il padre (docente di Filologia) venne trasferito a San Pietroburgo, l'intera famiglia Durov tornò in Russia dove Pavel trovò il giusto terreno per la sua fervida passione per l'informatica. Non è forse la Russia il Paese che forma ed esporta gli hacker più preparati al mondo?

Pavel, però, ha sempre fatto discutere per il suo carattere fuori dagli schemi. Ha lanciato la sfida a Zuckerberg qualche anno fa, creando VKontakte (VK), il social network clone di Facebook che in Russia detiene il primato di iscrizioni con circa 200 milioni di utenti. Un successo formidabile che recentemente ha spinto Zuckerberg a Mosca, per testare con mano le difficoltà di Facebook nel territorio sovietico. Il multimiliardario fondatore e ceo di Facebook ha compreso che queste difficoltà hanno un nome e un volto: Pavel Durov.

VK in Italia non è raggiungibile. Inutile provare a connettersi. È stato oscurato nel novembre dello scorso anno su richiesta del Tribunale di Roma per violazione di copyright. Sul sito di Durov, infatti, era stato caricato l'ultimo film di Checco Zalone «Sole a catinelle». La denuncia di Medusa Film fu immediata, e i giudici diedero ragione alla società del gruppo Mediaset disponendo l'oscuramento del sito e ordinando a tutti i provider italiani di bloccare le connessioni verso VK. E se la domanda più scontata può essere «ma cosa va a farci un italiano su un social network russo», la risposta sembra venir fuori dai contenuti che VK offre ai suoi utenti. Perché a differenza di Facebook, il social network di Durov non sembra granché regolamentato. Sulle bacheche finisce di tutto: musica, film, contenuti proibiti. Un posto decisamente anarchico, nella rigorosa Russia di Putin.

Così l'episodio che tocca da vicino l'Italia si aggiunge al novero dei casi che alimentano le fantasie anche più strambe. C'è chi ritiene Durov un uomo di Putin, tanto che il social network avrebbe bannato i gruppi contro il presidente russo. Chi, al contrario, lo ritiene un pericolo costante per il Cremlino. Un tipo incontrollabile. Una scheggia impazzita, anche se i servizi segreti russi, come ci si potrebbe aspettare, lo avrebbero avvicinato più volte.

Si narra che qualche anno fa, dalla finestra dell'ufficio di Pavel a San Pietroburgo volassero aereoplanini di carta. Ma non di carta semplice. Aeroplani fatti con banconote da 5mila rubli (circa 120 euro). Durov si divertiva a lanciare soldi, un po' come l'ultimo Di Caprio in "The wolf of Wall Street". Leggende metropolitane.

Quello che si sa di certo è che oggi Pavel Durov sta cercando di fare lo sgambetto a WhatsApp, l'ultimo regalo miliardario che Mark Zuckerberg s'è voluto fare.

È Pavel, insieme al fratello Nikolai, il proprietario di Telegram, la app identica a WhatsApp che nelle ultime ore sta scalando le classifiche degli store Apple e Android. Come vi raccontavamo qualche giorno fa, da quando WhatsApp è finita nelle mani di Facebook, c'è stata una reazione emotiva abbastanza prevedibile. Molti utenti hanno deciso di trovare un'applicazione di messaggistica istantanea alternativa, quasi a voler evitare il monopolio di Zuckerberg.

Così Telegram ne ha approfittato assorbendone gli effetti migliori, con centinaia di migliaia di iscrizioni in poche ore. Il server down di WhatsApp, poi, ha fatto il resto. Tanto che ieri i fratelli Durov hanno annunciato di aver raggiunto la formidabile cifra di 5 milioni di nuove iscrizioni in un solo giorno, domenica scorsa (il giorno dopo il malfunzionamento di WhatsApp).

Partendo dal presupposto che i numeri sono ancora distanti anni luce (WhatsApp ha oltre 450 milioni di iscritti e secondo gli analisti potrebbe presto raggiungere la cifra incredibile di un miliardo), Telegram sta dimostrando di avere le carte in regola per creare quanto meno qualche grattacapo a Zuckerberg.

Lanciata su iOS nello scorso mese di agosto (su Android è arrivata a ottobre), l'app dei fratelli Durov è completamente gratuita e piace per la sicurezza che assicura ai suoi utenti. Sul sito dell'applicazione si legge: «Telegram non è pensato per produrre profitti, non venderà mai pubblicità e non accetterà mai investimenti esterni. Non è in vendita. Non stiamo costruendo un database ma un programma di messaggistica per le persone». Un messaggio che funziona.

Infine, un particolare a cui Pavel Durov sembra tenere particolarmente: il team che gestisce Telegram è a Berlino, e i server sono sparsi per il mondo. Niente di niente all'ombra del Cremlino. Pare che così Pavel dorma sonni più tranquilli. E se lo dice lui…

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