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Questo articolo è stato pubblicato il 09 marzo 2014 alle ore 15:22.

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Decodificano la realtà complessa e la restituiscono sotto forma di informazioni semplici, notizie di pubblica utilità. Incentivano la partecipazione, creando formule di cittadinanza attiva digitale. Di fatto migliorano la vita di tutti i giorni. Numeri o informazioni che siano, gli open data generano nuovi rapporti con la Pubblica amministrazione e orientano le scelte. «Gli open data sono l'oro digitale, la materia prima alla base della gerarchia della conoscenza. Tutto si basa sul dato aperto. Quando il dato non è aperto si dispone sempre di una conoscenza parziale», afferma Maurizio Napolitano, tecnologo della Fondazione Bruno Kesler.

Che si tratti di cittadini o di clienti o di elettori gli open data trasudano edemocracy. La loro profilazione diventa una chiave per comprendere la complessità nella quale viviamo. C'è di più. Gli open data generano valore, come esplicita il rapporto McKinsey già raccontato su Nòva24: di fatto i dati aperti contribuiscono alla nascita di centinaia di attività imprenditoriali e agevolano la creazione di nuovi prodotti e servizi in imprese già consolidate. Sempre secondo McKinsey nei settori strategici dell'economia mondiale – si va dall'istruzione ai trasporti, dall'assistenza sanitaria al credito al consumo – il dato quando è aperto restituisce ai cittadini dai 400 ai 1.000 miliardi di dollari all'anno.

Una sorta di spending review speculare alla democrazia diretta che genera. Gli open data, i cui natali sono ascrivibili alle politiche d'Oltreoceano della prima amministrazione Obama, stanno di fatto innestandosi anche in Europa. «Siamo a un ottimo stadio di consapevolezza anche in Italia. Il fatto di mettere a disposizione i dati, soprattutto quelli pubblici, è diventato la norma, almeno a livello programmatico», precisa Federico Morando, direttore della ricerca al Centro Nexa del Politecnico di Torino. Così dal Catasto di Trento alla Camera dei deputati passando per il centro storico di Matera c'è tutto un proliferare di politiche sugli open data. Ad esempio i Comuni di Trento e Venezia hanno rilasciato i dati cartografici con annessa localizzazione dei civici. Il Comune di Firenze, pioniere in questo campo, ha promosso un data set secondario sui luoghi più freschi del comprensorio fiorentino nel momento di maggiore calura estiva. Gli open data diventano uno strumento utile anche ai passeggeri: l'Agenzia per la mobilità di Roma monitora in tempo reale i flussi dei bus. Da tempo si distingue la Regione Piemonte, per prima ad aver scommesso sull'accesso al dato. Non a caso giovedì proprio a Torino sono stati assegnati i premi del «Piemonte Visual Contest», concorso indetto dal consiglio regionale del Piemonte e Top-IX e che ha visto la partecipazione di centinaia di studenti, tutti protesi tra competenze matematiche e attitudini grafico-creative.

«Scelta obbligata e opportuna quella degli open data negli anni della trasparenza. Anche se dal punto di vista pratico, ovvero di fruizione, abbiamo molta strada da fare. Servirebbe un'azione più forte a livello di standardizzazione», dichiara Morando. È un problema di metodologie messe a disposizione. Perché il tasto dolente è la lavorazione e presentazione del dato. «Per il singolo cittadino il dato è l'equivalente di una lastra di pietra nella quale è inciso. Occorre analizzarlo e profilarlo. D'altronde lo stesso vale per un bilancio, spesso esposto in formato pdf. Bisognerebbe andare oltre». Come ha dichiarato Berners Lee, la cultura del dato aperto comporta un cambiamento nella società. E questo stride con il digital divide. Oggi la condizione per aprire i dati è che ci sia sensibilità politica, prima ancora che un mercato. E in fondo è un problema anche di alfabetizzazione digitale. «Occorrono investimenti strutturati in formazione per aumentare la consapevolezza», precisa Morando. «I dati sono pensati per le macchine, ma i risultati sono ad appannaggio delle persone. Ecco perché occorre pensare come una grande catena di valore. Due sono gli elementi connessi: la trasparenza e la crescita. Ed è la crescita l'elemento trainante, il vero volano», afferma Napolitano.

Così l'ecosistema digitale decifra il contesto reale. Dai trasporti all'ambiente, fino all'economia. Ma attenzione. La rivoluzione, iniziata timidamente nella Pubblica amministrazione, sta di fatto permeando anche le aziende private e le comunità. «Per la Pa il dato dovrebbe essere open per definizione, ma oggi anche le imprese e le comunità informali sono chiamate a produrre e processare dati», dice Napolitano, che sostiene come il processo sia ormai irreversibile.

Intanto gli analisti ragionano sulle mappe del futuro. Si va dalle applicazioni innovative alle carte speciali, fino ad approdare alle nuove mappe lavabili. A Torino nascono addirittura le "dressmap", ovvero borse in ecopelle con mappe personalizzate. Perché il dato diventa sempre più un taglio su misura.

Il passo successivo diventa così profilare meglio e in modo differente. E ancora, accelerare le chiavi interpretative. «Col tempo si moltiplicheranno dinamiche premium, ovvero a pagamento», precisa Napolitano. Sarà la nuova generazione degli open data, con un uso più consapevole, più maturo, più segmentato. E la rivoluzione della trasparenza passa anche per una selezione dell'informazione. La questione centrale sarà quanto e come rendere accessibili i dati in modo diretto, non mediato, a un bacino più ampio di utenti. «Una traduzione verso un pubblico più largo richiede un passo in avanti dal punto di vista progettuale, andare oltre la visualization per costruire rappresentazioni più coinvolgenti, dialogiche e interattive», afferma Paolo Cucciarelli, direttore scientifico del Density Design Lab del Politecnico di Milano. Si moltiplicano così le modalità di data visualization. «In futuro la visualizzazione dovrà mescolare un livello più analitico con uno narrativo, che definisce il contesto e orienta l'interazione. Il tutto senza dimenticare le opportunità che la carta saprà ancora offrire», conclude Cucciarelli. Così i dati aperti evolvono nell'ecosistema, migliorando la vita reale dei cittadini. Perché nell'era digitale l'informazione non va subita, ma capita.

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