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Questo articolo è stato pubblicato il 27 marzo 2014 alle ore 13:43.
L'ultima modifica è del 27 marzo 2014 alle ore 17:07.

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La Corte di Giustizia europea ha posto per la prima volta limiti alla facoltà dei giudici di bloccare siti web che violano il copyright. I tribunali sono infatti chiamati ora a tenere conto anche dei diritti degli utenti e dei provider internet.

È il risultato di una sentenza, molto attesa, arrivata su una causa che contrappone vede coinvolte un fornitore di Internet via cavo austriaco, l'UPC Telekabel Wien e le case cinematografiche Constantin Film Verleih e Wega. I giudici nazionali hanno chiesto al provider di bloccare l'accesso degli utenti al sito Kino.to. Il provider ha provato a opporsi andando alla Corte di Giustizia europea. Da una parte, quest'ultima riconosce che i giudici possono imporre a un provider di bloccare l'accesso a siti web, quindi è stato vano il tentativo del provider. Le speranze di riuscita erano del resto molto scarse; era piuttosto improbabile che la Corte di Giustizia vietasse la pratica del blocco all'accesso (tecnicamente, un "sequestro preventivo del sito"), ormai piuttosto comune anche in Italia.

La vera novità, che potrebbe pesare sulla futura giurisprudenza in materia, sono i limiti imposti dalla Corte di Giustizia a questa pratica. È la prima volta che avviene.
I limiti riguardano due considerazioni: la libertà d'impresa del provider e i diritti degli utenti. Sì, secondo la Corte è possibile bloccare un sito senza violare né un principio né l'altro; ma il punto è che, per poterli rispettare, un giudice deve tenere presente alcuni paletti. Per il primo punto, la Corte stabilisce che un provider non deve essere obbligato a sopportare costi significativi per eseguire l'ordine di blocco. È un punto che sta a cuore anche agli operatori telefonici italiani. Quelli di Assoprovider protestano da tempo contro la delibera Agcom sul copyright, in vigore dal prossimo primo aprile, appunto perché temono di essere costretti a investire in risorse tecniche e umane per far fronte al prevedibile boom di richieste di blocchi.

La Corte di Giustizia europea crede quindi che i giudici, nell'ordinare un blocco, lascino ai provider la facoltà di decidere in che modo eseguirlo, cioè con misure che siano adeguate alle risorse già disponibili in azienda e che non danneggino il suo operare. Per esempio, in passato gli operatori italiani dell'associazione Aiip hanno criticato gli ordini di blocco basati sugli indirizzi IP, giudicandoli gravosi e tali da danneggiare il normale funzionamento della rete.

Per il rispetto dei diritti degli utenti, la Corte chiede invece che il blocco sia chirurgico, cioè che riguardi sono i contenuti effettivamente lesivi del diritto d'autore. Gli utenti insomma dovrebbero essere liberi di accedere alle parti lecite del sito oggetto dell'ordine di sequestro.

Nella sentenza si legge, infatti: "i diritti fondamentali in parola non ostino ad una tale ingiunzione, alla duplice condizione che le misure adottate dal fornitore di accesso non privino inutilmente gli utenti di internet della possibilità di accedere in modo lecito alle informazioni disponibili" e che queste "abbiano l'effetto di impedire o, almeno, di rendere difficilmente realizzabili, le consultazioni non autorizzate di materiali protetti" dal copyright.

Rispettare questa indicazione della Corte può essere impossibile, però, quando i siti hanno un server all'estero; in questo caso, infatti, i giudici ordinano sempre l'oscuramento totale ai provider. Il solo modo per bloccare solo le parti illecite di quei siti sarebbe l'uso della deep packet inspection (i provider dovrebbero ispezionare il traffico degli utenti), pratica che però la stessa Corte di Giustizia europea, in precedenti sentenze, ha dichiarato lesiva dei diritti di privacy degli utenti.

Al momento non è chiaro come i giudizi nazionali e l'Agcom, nell'ordinare i blocchi, possano tenere conto di queste indicazioni e quindi quali impatti queste potrebbero avere sulla lotta alla pirateria.

La Corte, come si è detto, ha comunque respinto il ricorso del provider austriaco, che provava a opporsi al blocco affermando di non avere rapporti con il sito in questione. La Corte ha affermato infatti che, per eseguire il blocco, non è necessario ci sia "rapporto particolare tra il soggetto che commette la violazione del diritto d'autore e l'intermediario nei confronti del quale può essere emessa un'ingiunzione", e "non è necessario neppure dimostrare che gli abbonati del fornitore d'accesso consultino effettivamente i materiali protetti accessibili sul sito Internet del terzo". Altra obiezione del provider era che veniva violata la sua libertà d'impresa. Così non è, secondo la Corte, nella misura in cui gli si lascia "l'onere di determinare le misure concrete da adottare".

Insomma, se da una parte la Corte toglie gli ultimi dubbi rimasti sul fatto che si possano bloccare siti web a tutela del copyright, dall'altra impone limiti inediti a questa pratica. Gli impatti, in Italia e in Europa, sono tutti da verificare.

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