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Questo articolo è stato pubblicato il 30 marzo 2014 alle ore 15:00.

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«È un mondo brutale, quello cui dobbiamo adeguarci». Così qualche giorno fa il Ceo di Novartis Joe Jimenez ha annunciato la cessione di tre rami non strategici per l'azienda: quello dei farmaci veterinari, quello dei farmaci da banco (Otc) e quello dei vaccini. «Uno di essi, tuttavia, potrebbe sopravvivere». Una suspance che sarà risolta solo alla fine dell'estate, quando i piani strategici saranno resi noti. C'è ancora un po' di tempo, dunque, per provare a fermare quello che per l'Italia sarebbe un vero disastro: la perdita del Centro ricerche ex Sclavo di Siena, da sempre protagonista di alcune delle più importanti scoperte sui vaccini (da ultimo quello sul meningococco B) e rimasto forse l'unica grande realtà di ricerca farmaceutica industriale in Italia, nonché un luogo dove si sono formati decine di ricercatori di tutto il mondo e da dove sono nate iniziative no profit che hanno destato l'attenzione dell'Oms come di Bill Gates.

La cessione poi, se fosse accompagnata dalla chiusura delle attività di ricerca, si potrebbe trasformare facilmente in macelleria sociale, in una città che non ne ha certo bisogno, dopo la vicenda del Monte dei Paschi: l'azienda ha infatti alle sue dipendenze, con un insolito e consolidato trend all'aumento (anche nel 2013), oltre 2.900 persone (800 delle quali nella ricerca), oltre all'indotto, ed è da sempre un motore fondamentale per tutto il territorio.

Dopo la batosta della vicenda Lucentis, in cui Siena non c'entra affatto (quella coinvolta è la Novartis Farma di Origgio, a Varese, altra divisione), una speranza è giunta, nei giorni scorsi, dalla recentissima decisione del severo Joint Committee on Vaccination and Immunization britannico, che ha reso obbligatoria la vaccinazione contro la meningite B per tutti i nuovi nati all'età di due mesi: un passo che potrebbe giocare a favore di Siena dove, oltre alla ricerca – realtà quasi unica nel mondo –, si fanno anche sviluppo e commercializzazione.

Anima del Centro Ricerche fino dalla sua nascita, avvenuta nel 1970 grazie a Paolo Neri, docente di Chimica biologica e nipote del fondatore della Sclavo, Achille, è Rino Rappuoli, oggi responsabile mondiale della ricerca sui vaccini. Ed è parlando di scienza con lui nella sede di Torre Fiorentina che Nòva24 ha cercato di capire perché questa realtà andrebbe difesa a ogni costo non solo dalla città, per ora neghittosa in merito, ma dall'Italia. «Da oltre un secolo, il centro è al cuore delle innovazioni più importanti in ambito vaccinologico – spiega –. Negli anni '30, con i vaccini contro la difterite e la polio; negli anni '80, con i primi vaccini a Dna ricombinante, cui Siena ha contribuito con quello acellulare della pertosse; nel decennio successivo, con la glicosilazione (sono nati qui il vaccino contro il meningococco A, e l'H.influenzae) e, da ultimo, con la grande innovazione della Reverse Vaccinology, nata dalla collaborazione con Craig Venter, che ci ha portato al vaccino anti meningococco B. Ma mentre proseguono gli studi su nuovi vaccini, è in corso anche una nuova rivoluzione: quella del concetto stesso di vaccinazione».

Rappuoli sottolinea come l'obiettivo di vaccinare i bambini per evitare la diffusione di un certo germe nei Paesi ricchi sia ormai quasi centrato. Per questo il vaccino di domani sarà qualcosa di diverso. Spiega Rappuoli: «Obiettivo della ricerca dovrebbe essere quello di prevenire le malattie, più che di curarle. E questo si fa con i vaccini, anche. Considerando una popolazione che invecchia e che si ammala, la nostra idea è che si debba puntare a vaccinazioni differenziate e specifiche per esempio per le donne in gravidanza, gli adolescenti, gli adulti e gli anziani, così come a vaccini preventivi contro alcune forme di cancro, sui quali stiamo lavorando.

E, ancora, a immunizzazioni studiate in base alle caratteristiche delle malattie: quelle di chi viaggia spesso, quelle emergenti, quelle che insorgono nei malati con patologie croniche e così via». Di lavoro, insomma, ce n'è ancora parecchio da fare, anche nell'Occidente ricco. E ce n'è anche di più se si pensa ai Paesi emergenti, per i quali Rappuoli ha istituito, nel 2007, un'apposita fondazione non profit, il Novartis Vaccine Institute for Global Health (Nvigh), che ha già ottenuto un vaccino contro la febbre tifoide e uno per la shigella. E per i quali Novartis sostiene la formazione degli specialisti locali (24 i Paesi di provenienza finora) attraverso il master in vaccinologia.

Sopravviverà la Novartis senese? E, soprattutto, la città e il Paese saranno spettatori passivi dell'eventuale disastro? Di certo, per non esserlo, dovrebbero muoversi adesso. A livello nazionale, offrendo sedi di discussione nei ministeri competenti, e cittadino, per esempio approvando agevolazioni della fiscalità locale per invogliare l'azienda a restare. Ma di questo, in città, sembra preoccupata solo parte dell'opposizione che in consiglio comunale, per bocca del bisnipote di Achille Sclavo, Eugenio Neri, cardiochirurgo delle Scotte ed ex candidato sindaco, ha chiesto un impegno che vada ben al di là della generica preoccupazione per i livelli occupazionali manifestata dal sindaco Bruno Valentini. Livelli che potrebbero non essere garantiti dalla perdita della ricerca. Ricevendone, per ora, risposte fumose, e nessuna iniziativa concreta.

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