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Questo articolo è stato pubblicato il 30 marzo 2014 alle ore 08:12.

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aViek Wadhwa non la manda a dire: «I ragazzi in Silicon Valley si occupano di quello che credono sia interessante. Ma, spesso, perdono di vista quello che è importante. Passano un sacco di tempo e spendono un sacco di soldi degli investitori cercando di fare l'ennesima applicazione più o meno inutile. Eppure le loro tecnologie potrebbero risolvere i grandi problemi dell'umanità. E a quei problemi dovrebbero e potrebbero dedicare la vita».
Wadhwa è vicepresidente per la ricerca e l'innovazione alla Singularity University, oltre che fellow all'Arthur & Toni Rembe Rock Center for Corporate Governance della Stanford University.
Non la manda a dire neppure al fondatore dell'idea della "singularity", Ray Kurzweil, convinto che con la crescita esponenziale delle capacità di elaborazione dei computer, si avvicini il momento in cui l'elettronica diventerà tanto potente da trasformare l'umanità in una nuova specie: «Non mi interessa confondermi con le macchine. Non credo che sia importante occuparsi di questo. Mi interessa l'innovazione in medicina, energia, alimentazione: insomma, quello che conta per l'umanità». Wadhwa, incontrato al Global Entrepreneurship Congress di Mosca, ha un messaggio fondamentale: l'innovazione può davvero risolvere le questioni aperte più dolorose della popolazione umana sul pianeta.
«Tutta questa vicenda dei sensori che tengono sotto controllo lo stato di salute delle persone sta generando una quantità di dati inimmaginabile. Big data e salute convergono. Finiremo col poter monitorare il rapporto tra stili di vita e salute in modo capillare ed efficace, tanto da prevenire le malattie invece che curarle. E riaprendo la strada per cure personalizzate, perché l'abbondanza di dati abbatterà i costi di produzione delle medicine su misura. Le farmaceutiche, paradossalmente, hanno bisogno di grandi quantità di malati per ripagare i costi dello sviluppo dei loro prodotti. La prevenzione è molto più intelligente. Ed è a portata di mano».
Nell'alimentazione, il discorso è analogo. «Il monitoraggio delle colture conduce alla conoscenza necessaria all'agricoltura idroponica, che è destinata a migliorare molto. Sensori e dati aperti renderanno l'innovazione nel settore sempre più veloce. Le fattorie verticali in città sono una possibilità reale. E in un mondo che si riempie di aree urbane a scapito della campagna, sono una necessità reale». E i costi dell'acqua? «Il costo dell'energia per desalinizzare l'acqua marina è in discesa verticale. Arriveremo al momento in cui l'energia solare consentirà di ricavare tutta l'acqua che serve per le colture idroponiche direttamente dall'oceano a prezzi estremamente convenienti. Il percorso è accelerato dalle nanotecnologie». Per Wadhwa, questi scenari, del tutto realistici, sono l'opportunità di molti centri dell'innovazione sul pianeta. «L'Italia può fare passi da gigante in questi filoni di innovazione. I costi scendono, le conoscenze si moltiplicano, le opportunità si aprono. Mentre in Silicon Valley si occupano delle loro stupide app, gli italiani possono occuparsi delle questioni veramente importanti».
E non solo gli italiani. Certo, a Wadhwa si potrebbe replicare che i big data che servono alla nuova medicina derivano in gran parte dall'uso di "stupide app" per monitorare la salute in chiave fai-da-te. E che i costi dei sensori stanno crollando al punto da poterli usare in agricoltura senza problemi perché i consumatori non cessano di acquistare gadget. E Wadhwa, di fronte all'obiezione, si dice d'accordo. In fondo, il suo pensiero è ecosistemico: ci vuole anche il lavoro innovativo svolto alla Silicon Valley.
Non per niente la sua università si trova proprio là. E dalla valle trae il suo fascino. Ma il suo punto è un altro: l'innovazione non si fa solo a Silicon Valley. E non si fa solo sui temi preferiti a Silicon Valley. Ci sono altri spazi. Molto importanti. Anche per i poli innovativi italiani. Il messaggio è chiaro: e vale la pena di coglierlo.
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