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Questo articolo è stato pubblicato il 13 aprile 2014 alle ore 08:12.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 15:09.

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Sono 1,3 milioni le persone che ogni giorno, in media, visualizzano almeno un contenuto video su siti editoriali, con un tempo medio che si avvicina ai dieci minuti. Per Pierre Chappaz (nella foto) il videoadvertising deve riuscire a coniugare il contenuto del messaggio con la distribuzione aTempi duri per brand e professionisti del videoadvertising. È ormai lontana l'età dorata in cui esistevano solo i media tradizionali, quando bastava pagare per avere accesso alla potenza di fuoco della tv, bombardare gli utenti con messaggi pubblicitari e, inesorabilmente, persuaderli a comprare qualsiasi cosa.
Il mondo è cambiato. Anzi, sono cambiate le persone che, grazie alla rete, hanno imparato a essere attive, partecipi, consapevoli. Che navigano un oceano di informazioni mentre cercano e scelgono contenuti. Che mostrano di apprezzare l'online videoadvertising – settore che a livello globale registra la maggior crescita in tutta l'industria pubblicitaria on e offline (+41% annuo stando allo Iab report 2013) – ma che, almeno quando sono in rete, nessuno può più forzare a guardare i "consigli per gli acquisti".
«Quando si è online la pubblicità non può più essere invasiva, non può entrare a gamba tesa in cerca dell'attenzione della gente. Al contrario, bisogna fare in modo che sia quest'ultima a desiderare davvero di fruirla». A parlare è Pierre Chappaz (nella foto a fianco), co-fondatore, presidente e ceo di Ebuzzing and Teads, azienda specializzata nella distribuzione a livello globale di video pubblicitari su internet: «Che ciò accada o meno dipende da due cose – spiega Chappaz, incontrato a margine del Festival of Media Global di Roma –: dipende dal contenuto, che è ancora "re" e deve essere di qualità altissima, e dall'efficienza della distribuzione, che quindi è "regina". La sfida è mostrare il contenuto giusto al pubblico giusto, nel luogo e nel momento migliori, accompagnandolo con tutti gli strumenti necessari a raggiungere lo scopo che il brand si è prefisso».
Nella pratica, questo significa che le campagne di videoadvertising online devono essere "native", cioè «devono essere presentate nel contesto più rilevante per l'utente e fondersi perfettamente con esso, in modo da generare interesse pur restando il meno intrusive possibile». Inoltre devono essere "responsive", ovvero funzionare su qualsiasi device per essere fruibili in condizioni che diventano sempre più difficili da prevedere, specie quando si tratta di terminali mobili.
Un compito tutt'altro che semplice, ma rispetto al quale il ceo di Ebuzzing fornisce notizie confortanti perché «distribuire in rete significa poter raccogliere un'enorme quantità di dati con cui valutare, ridefinire e potenziare l'efficacia della campagna in atto». Il tutto lavorando con una precisione e un dettaglio inarrivabili per la vecchia e cara tv.
Quando si parla di videoadvertising online, alcune aziende puntano semplicemente a totalizzare il numero di viste più alto possibile. Altre, invece, mostrano una maggiore comprensione della rivoluzione in atto, preferiscono puntare sull'engagement dell'utente, e quindi richiedono format di distribuzione pensati per "arricchire" l'esperienza di visione del contenuto.
«Integrando una varietà di strumenti – spiega Chappaz – è per esempio possibile agevolare l'utente nel condividere il contenuto, oppure invogliarlo a visitare una certa pagina web, o ancora ad acquistare direttamente il prodotto mostrato nel video, dal momento che siamo in grado di incorporare nel contenuto anche funzioni di e-commerce». Ed è solo l'inizio, perché «presto saremo in grado offrire un'interattività molto maggiore, aggiungendo funzionalità che renderanno la fruizione di un video pubblicitario tanto coinvolgente quanto quella di un videogioco».
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