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Questo articolo è stato pubblicato il 16 aprile 2014 alle ore 06:37.

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a Per le medie imprese manifatturiere italiane il software, Internet e le tecnologie digitali di nuova generazione non sono più una scelta. Sono un obbligo. Sono (forse) l'unico modo per rimanere competitivi sul mercato, per anticipare una domanda in continua evoluzione e sempre più orientata a richiedere prodotti personalizzati (talvolta unici), molto spesso da progettare (e co-progettare) e realizzare su commessa. Per fare questo non basta la qualità, non basta spendersi l'etichetta del "made in Italy": serve un approccio sistemico nella gestione del flusso delle informazioni, dei materiali e dei processi produttivi. Frasi fatte? Di sicuro già sentite, ma spesso poco recepite. Però la fabbrica cambia, deve cambiare e in parte è già cambiata. Ed è questo il punto di svolta. L'elettronica si è affiancata alla meccanica, a volte prendendone il posto, e si è integrata con l'informatica nel segno di sensori e centri di controllo intelligenti. Parlare di fabbrica del futuro ha quindi senso e lo è a maggior ragione nel campo delle macchine utensili, un settore che rappresenta un fiore all'occhiello della manifattura italiana (siamo pur sempre il secondo Paese manifatturiero d'Europa). Un settore, lo dicono gli ultimi dati Ucimu, che sì nell'ultimo trimestre del 2013 ha ripreso a crescere (del 4,1%) ma ha pagato lo scotto di una crisi che ha frenato sensibilmente l'indice degli ordinativi, tanto che il bilancio di fine anno si è chiuso con una flessione del 3,2%, generata sostanzialmente dalla frenata (-15,8%) di un mercato interno condizionato dall'assenza di liquidità.
La fabbrica del futuro non è un concetto astratto, è un ecosistema che deve nascere da un cambiamento profondo, e non solo a livello esteriore. Diversi analisti hanno descritto le tecnologie digitali come delle leve "disruptive" capaci di portare impatti potenziali così grandi da poter realmente rivoluzionare l'attuale modo di produrre e quindi di fare impresa. Di cosa stiamo parlando? Di stampa 3D e di Internet delle cose, di realtà aumentata e di intelligenza artificiale, di sensoristica e di nanotecnologie. Ma in che modo l'Italia può innovare il settore del manifatturiero? Una risposta è quella di Andrea Bacchetti, ricercatore presso l'Università di Brescia e fautore del nuovo progetto di ricerca nazionale sul tema del Digital manufacturing patrocinato dal Ministero dello sviluppo economico. «Già nel prossimo futuro la manifattura smetterà di essere strettamente la produzione di beni materiali e si sposterà sempre di più verso una produzione di soluzioni, in cui bene materiale e servizi saranno sempre più integrati. È il concetto della servitizzazione, che sta interessando svariate industry». Un concetto che in seno a diverse imprese italiane ha già trovato spazio, e in alcuni casi si è sedimentato diventando base per una nuova fase di innovazione. Per esempio in aziende come la piacentina MCM e come CGT (Compagnia Generale Trattori). La prima, come ci spiega Bacchetti, è attiva da già da qualche anno nella produzione di macchine utensili di alto profilo dotate di significativa intelligenza (software e sensori) e in grado di comunicare in real time il proprio stato di salute. La seconda utilizza l'Internet delle cose per innovare il prodotto e il modello di business. «Entrambe potrebbero già ora smettere di vendere le macchine puntando a vendere le ore di funzionamento e utilizzo delle stesse, esattamente come già fanno realtà multinazionali come Ge Aviation o Rolls Royce (per le sue turbine, ndr). Si tratta di una vera rivoluzione abilitata dalla tecnologia».
Meno prodotti, più soluzioni. Questo l'imperativo a tendere per le aziende manifatturiere italiane, da una parte alle prese con un mercato domestico stazionario o addirittura in recessione e dall'altra chiamate a digerire il paradigma della "mass customization", del cliente che vorrà sempre di più personalizzare il prodotto o la soluzione che vorrà acquistare. «La parola chiave - sottolinea in proposito Bacchetti - non sarà più la saturazione degli impianti, bensì la flessibilità dei medesimi. Realizzare, in modo economico e competitivo, macchine capaci di essere flessibili sarà la vera sfida. Mi aspetto quindi una manifattura sempre più servitizzata, sempre più globale, in cui cervello e braccia operative saranno sempre più vicine, con un modello produttivo orientato al soddisfacimento di specifiche esigenza da parte della clientela». E le tecnologie? Su quali puntare? «Un'azienda con le caratteristiche di cui sopra - questa la ricetta del professore bresciano - deve essere connessa in banda larga 24x7, deve essere social per intercettare davvero le singole esigenze dei propri clienti, deve saper usare davvero l'ingente mole di dati, i Big data, che avrà a disposizione. Deve inoltre essere capace di costruire macchine capaci di comunicare tra di loro e con l'ambiente in cui sono inserite». E non finisce qui, perchè l'orizzonte della fabbrica del futuro è costellato anche dalla manifattura additiva, il printing 3D, una tecnica che si sposa perfettamente con le esigenze di flessibilità produttiva e ridotte lottizzazioni. "Non solo a supporto della fase di progettazione per accelerare il processo di prototipazione - chiude il cerchio Bacchetti - ma anche per realizzare prodotti compatibili con l'esercizio. La manifattura additiva riduce inoltre gli sprechi di materiale e i consumi e riutilizza gli scarti: potrà quindi essere più sostenibile verso la società e l'ambiente". Un manufacturing green e non solo digital e social. La strada è tracciata.

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