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Questo articolo è stato pubblicato il 25 maggio 2014 alle ore 08:13.

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a Nella mappa mondiale della giustizia ambientale curata dal progetto europeo Environmental Justice Organisations, Liabilities and Trade, costituito da oltre cento scienziati e attivisti appartenenti a 23 università e Ong del pianeta, l'Italia risulta ancora un piccolo paradiso esente da conflitti ambientali.
Sappiamo bene che non è così e anche su Ejolt lo sarà ancora per poco. Pure nel nostro Paese l'uso a scopo sociale del mapping e delle piattaforme di condivisione sta diventando il fulcro dei meccanismi per l'accesso ai dati e alle informazioni di primario interesse pubblico, come quelle che riguardano la salute e l'ambiente.
Sono queste le caratteristiche che contraddistinguono media civici italiani alla ricerca di trasparenza come Rete Comuni Sin, Sinforma, Monithon, nate spontaneamente negli ultimi dodici mesi che monitorano le politiche pubbliche relative alle bonifiche dei siti contaminati e l'attività delle popolazioni che si battono per una migliore qualità della vita. Un'esigenza anticipata dai cittadini campani già nel 2008 con la prima mappa degli incendi di rifiuti tossici in Campania targata «Terra dei fuochi», il termine coniato dal 2003 dal rapporto Ecomafie di Legambiente.
Una costellazione di progetti che sono la risposta "dal basso" a quello che viene comunemente identificato come un problema insanabile, "inquinato" da corruzione ed ecomafie, che potrebbe essere, invece, una grande risorsa di riscatto economico, sociale, culturale e ambientale per il Paese.
Tra questi in prima fila, appunto, la Rete dei Comuni dei Siti di interesse nazionale, «Rete Comuni Sin» coordinata da Mariella Maffini, assessore all'Ambiente di Mantova, sede di una delle aree più inquinate della Penisola, che ha dato vita anche a un progetto di informazione web, con la mappatura dei Comuni aderenti e la condivisione di documenti e rapporti nazionali, provenienti dal mondo scientifico e della cittadinanza attiva.
«Il nostro appello è stato raccolto da oltre il 75% dei sindaci dei Comuni all'interno delle aree contaminate di interesse nazionale – racconta – che hanno così dimostrato di essere consapevoli autorità sanitarie a tutela dei propri cittadini, uniti nel chiedere mezzi e risorse per il bene comune».
Richieste raccolte nella «Carta di Mantova» già inoltrate al ministero dell'Ambiente e alla presidenza del Consiglio «da cui, a tutt'oggi attendiamo risposta – conclude Maffini – così come attendiamo uno strumento per la comunicazione trasparente e tempestiva a cittadini ed enti locali di ogni informazione relativa allo stato ambientale e sanitario dei siti contaminati e al progredire delle azioni di risanamento».
Situazione monitorata nei territori inquinati dalle storiche associazioni ambientaliste ma anche dai sempre più organizzati e preparati comitati riuniti insieme nel «Coordinamento Nazionale Siti Contaminati» per confrontarsi con tutti i livelli istituzionali. «Sappiamo ormai che per contrastare lo stato di degrado ambientale e sanitario a cui siamo sottoposti dobbiamo esercitare una maggiore azione comunicativa», precisa Marino Ruzzenenti, storico dell'ambiente esperto del Sin Caffaro di Brescia, tra i portavoce del coordinamento. «Per questo abbiamo pensato di creare una piattaforma partecipativa come Sinforma (in fase di aggiornamento, ndr) per condividere conoscenze, dati e iniziative tra attivisti e altri progetti di informazione indipendente e partecipata», conferma Alberto Valleriani della Rete per la tutela della Valle del Sacco, coordinatore del progetto.
E così dalle reti nascono anche momenti di formazione per gli Science Citizens. «Come la due giorni di studio in programma a Mantova in collaborazione con Rete Comuni Sin, dal 18 al 19 settembre – ricorda Edoardo Bai, medico epidemiologo di Isde Italia (International Society of Doctors for the Environment) e responsabile scientifico di Legambiente – dove affronteremo l'impatto sanitario delle attività a rischio e dei siti inquinati e le correlazioni tra inquinamento e salute, che vedrà radunati i maggiori esperti nazionali in ambito scientifico insieme ai rappresentanti della cittadinanza attiva da tutta Italia».
Anche perché dei 57 siti di interesse nazionale, quelli cioè ad alto impatto ambientale e sanitario per le popolazioni insediate (di cui 18 declassificati a interesse regionale nel 2013) nessuno a oggi è stato completamente bonificato. Eppure il valore del risanamento ambientale avrebbe un giro d'affari complessivo, secondo le stime di Giovanni Pietro Beretta, geologo dell'Università degli Studi di Milano, tra i massimi esperti italiani di bonifiche, intorno ai 30 miliardi di euro.
Un sistema farraginoso e opaco, quello del Piano Nazionale delle Bonifiche, che ha invece prodotto, dal 1998 a oggi, migliaia di documenti, ma solo minimi progressi nello stato di recupero delle aree all'uso collettivo e industriale. E che ancora manca di trasparenza, come documenta la Relazione sui ritardi delle bonifiche della Commissione d'Inchiesta parlamentare sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti (2012). Anche per le falle nel sistema delle anagrafi regionali dei siti contaminati a livello comunale, istituita dalla legge 152/2006 incompleta e poco accessibile ai cittadini. Diversamente da ciò che prescrive il Decreto Trasparenza in vigore dal 20 aprile 2013.
Rosy Battaglia è curatrice del
progetto Cittadini Reattivi
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