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Questo articolo è stato pubblicato il 28 maggio 2014 alle ore 19:16.

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Per ora si tratta di risultati – straordinari – ottenuti negli animali, ma se ulteriori dati confermeranno quanto pubblicato oggi su Nature dai ricercatori dell'Istituto Tiget del San Raffaele di Milano su Nature, tutta la terapia delle malattie genetiche potrebbe entrare in una nuova era: quella dell'editing genomico. Così infatti si chiama la tecnica che ha permesso ai genetisti milanesi di riparare il difetto alla base dell'immunodeficienza ereditaria chiamata SCID-X1, direttamente nelle cellule staminali del sangue del midollo osseo di modelli murini. I quali, una volta ripristinato il gene corretto, sono guariti.

L'editing del genoma si basa sulle proprietà di una famiglia di enzimi chiamati endonucleasi, che hanno la capacità di tagliare il Dna in punti prestabiliti. Nella loro versione artificiale, su cui stanno lavorando laboratori di tutto il mondo, oltre alla porzione che taglia, ce n'è una che posiziona l'enzima in un punto specifico del Dna: in questo modo l'endonucleasi agisce come sorta di équipe chirurgica in miniatura, attaccandosi e tagliando solo laddove ce n'è bisogno. La cellula a quel punto avvia i meccanismi di riparazione, e legge nuovamente la sequenza partendo, però, dalle basi complementari corrette, fornite dall'esterno, fino a ripristinare la versione giusta e funzionante del gene.

Nel lavoro pubblicato, l'editing del genoma è stato applicato appunto a un modello murino di SCID-X1, malattia alla base della quale c'è un difetto in un gene chiamato IL2RG, responsabile della produzione di elementi fondamentali per la giusta risposta immunitaria: i linfociti T e le cellule Natural Killer o NK. Il gene IL2RG si trova nelle cellule staminali del sangue del midollo osseo, che normalmente sono in uno stato di quiescenza e che si risvegliano ciclicamente per sostituire le cellule morte; uno dei successi dell'équipe milanese sta nell'aver trovato il modo di rendere queste cellule più reattive, e quindi più pronte a reagire all'endonucleasi. La tecnica è stata quindi applicata su cellule già stimolate, e il gene ripristinato. Risultato: i topi hanno mostrato di produrre normalmente linfociti T e cellule NK del tutto funzionanti, senza avere alcun tipo di tossicità. Come ha commentato il primo autore dell'articolo, Pietro Genovese: «Questo dimostra che bastano poche cellule staminali corrette per ottenere l'effetto terapeutico, ovvero la ricostituzione di un sistema immunitario funzionante».

Nel caso specifico, la dimostrazione della validità della tecnica è particolarmente importante: i protocolli messi a punto qualche anno fa, e basati sull'inserimento del gene in un virus vettore, che andava a posizionarsi in modo casuale nel Dna, avevano causato gravi problemi in una sperimentazione condotta Francia. Alcuni dei bambini trattati, infatti, avevano sviluppato una leucemia dopo che il gene era andato a inserirsi vicino a un gene oncogenico, attivandolo. Ma con l'editing genomico questo non può avvenire, perché il punto di inserimento è specifico.

Ma la ricerca, che è stata resa possibile dai finanziamenti della Fondazione Telethon, dell'Unione Europea e del Ministero della Salute, potrebbe costituire un passo in avanti fondamentale per tutta la terapia genica, come spiega Luigi Naldini, direttore del Tiget e fresco di Outstanding Achievement Award, conferitogli nei giorni scorsi a Washington dalla Società americana di terapia genica e cellulare: «Fino ad oggi la terapia genica consisteva soprattutto nell'aggiungere una copia funzionante del gene usando un virus opportunamente manipolato e reso innocuo; ora invece possiamo correggere direttamente il difetto genetico sul Dna. È un vantaggio straordinario, perché ci permette di ripristinare non solo la funzione ma anche la naturale regolazione di quel gene – quanto, quando e dove viene espresso – cosa che oggi non possiamo fare fedelmente quando introduciamo con un virus una nuova copia del gene dall'esterno».

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