È come l'Arca di Noè. Un'ancora di salvezza. Per animali e natura. Leoni, giaguari, leopardi, elefanti, ippopotami, coccodrilli, gazzelle, scimmie, struzzi, aquile, aironi si sono rifugiati nelle foreste di Kasane, Kazume e Maikaelelo, nelle acque dei grandi fiumi Chobe e Linyanti, tra le sabbie dell'infuocato deserto del Kalahari, tra i canneti, i papiri e le ninfee dell'immenso Delta dell'Okavango, il più grande delta interno del mondo.
L'Arca in questione è il Botswana, un angolo di Africa australe incastonato tra Namibia, Sudafrica e Zimbabwe. Che, proprio in occasione di un viaggio in Sudafrica, per i Mondiali di calcio, può essere un'interessante estensione. Anzi, un'occasione unica. Basta dare un'occhiata ai suoi numeri. Grande il doppio dell'Italia (600 mila 372 chilometri quadrati), il Botswana ha un milione e 800 mila abitanti: nemmeno tre abitanti per chilometro quadrato.
Ma oltre il 17 per cento del suo territorio è protetto: ha tre parchi nazionali e cinque riserve naturali. E un altro 22 per cento è sotto la tutela del Wildlife Department. La superficie occupata dai parchi nazionali è percentualmente una delle più grandi al mondo. Qui, la protezione della natura e lo sviluppo di un turismo sostenibile ed ecologico, godono della massima priorità ormai da più di vent'anni. Sul suo territorio vivono libere 164 specie di mammiferi, 550 di uccelli, 157 di rettili, 38 di anfibi; e crescono rigogliose tremila specie di piante.
Qui, a differenza di altri paesi africani, i parchi nazionali non sono stati trasformati in giardini zoologici dove ad ammirare un leone, una zebra, una gazzella ci sono decine di autobus e jeep che, straripanti di turisti armati di macchine fotografiche e videocamere, si contendono la prima fila. L'intero paese è un enorme santuario della natura, dove ognuno può costruire un proprio itinerario. Non esistono tour obbligati: jeep, barca e piccoli aerei, i tre mezzi di trasporto più indicati per il Botswana, consentono infinite combinazioni di viaggio.
E molti sono oggi gli operatori italiani che propongono tour organizzati, di gruppo o individuali. Unica avvertenza: evitare il periodo da novembre a marzo. L'estate australe è torrida e coincide con la stagione delle piogge. Piogge comunque attese e benedette in un paese che per due terzi è coperto dal deserto del Kalahari. E talmente preziose che "pula", la moneta locale (vale circa 10 centesimi di euro), significa appunto "pioggia", e "thebe", il centesimo di pula, significa "gocce di pioggia".
Durante gli altri mesi dell'anno invece il clima è secco e mite, l'ideale per una vacanza. Arrivando dal Sudafrica, collegato al Botswana dagli aeroporti delle sue principali città, la porta d'ingresso ideale sono le Cascate Vittoria, in Zimbabwe, ma proprio sul confine con Zambia e Botswana. Mosy oa tunya (Fumo che tuona), così le chiamano da queste parti, un'azzeccata definizione per l'incredibile effetto che creano.
Il fiume Zambesi, che qui raggiunge i 1700 metri di larghezza, fa infatti un balzo di oltre cento metri creando un muro enorme di spruzzi, che si alza dalla gigantesca ferita nella terra e infradicia completamente tutti quelli che si avvicinano troppo. Un comodo sentiero consente di ammirarle da più punti: parte dall'alto e, costeggiando la spaccatura mozzafiato della cascata, arriva quasi fino in fondo al letto del fiume. Lungo il viottolo si incontrano panchine di legno dove riposare e la statua del leggendario esploratore inglese Johnathan Livingstone, il primo europeo che nel 1855 scoprì le cascate e che quando le vide disse: "perfino gli angeli in volo si fermerebbero ad ammirare uno spettacolo come questo".
Da non perdere, il Victoria Falls Hotel, il leggendario albergo affacciato sulle cascate. In perfetto stile edoardiano, ha da poco compiuto i cento anni. E conserva ancora oggi ambienti old british e di sapore coloniale con stanze, giardini, sale da pranzo, personale di servizio che sembrano usciti da un quadro d'epoca. In albergo vige sempre la più assoluta informalità: sia per il pranzo, sia per la cena viene proposto un ottimo, e anche molto coreografico, buffet con un'ampia scelta di carni, riso, verdure, formaggi.
Sono invece d'obbligo giacca con cravatta per gli uomini e abito elegante per le donne se si vuole cenare nella storica sala Livingstone e assaporare così le più autentiche e raffinate atmosfere "fin de siècle". Velluti rossi, candelabri, cristalli e argenteria accompagnano una cena curata fin nei minimi particolari e servita da camerieri in giacca scura e guanti bianchi. Il menù è internazionale, e la specialità sono le carni alla griglia. Dalle Cascate Vittoria al Botswana ci sono pochi chilometri.
La prima tappa ideale è il Chobe Game Lodge. Costruito sulla riva sinistra del fiume Chobe nell'omonimo parco nazionale, che si trova all'estremo nordorientale del paese, è uno dei più lussuosi del Botswana. In una delle sue suite, Richard Burton ed Elizabeth Taylor trascorsero la loro seconda luna di miele. Le 46 camere e le quattro suite, ognuna con terrazza e piscina private, sono all'interno di una lunga costruzione a due piani in stile coloniale che, immersa tra alberi di mopane, acacie e bouganville, si distende lungo la riva del fiume. L'arredamento è molto semplice, interamente in legno. E nelle parti comuni, hall, bar, salotto, grande piscina e giardino, fa bella mostra di sè una preziosa collezione di arte e di antiquariato africani.
Maschere, statue, arazzi, tappeti, cesti fanno compagnia mentre si cena sulla terrazza o si prende l'aperitivo al bar. Ma la vera attrazione è all'esterno del lodge. E basta mettere un piede fuori per rendersene conto. A dire il vero, la prima regola da imparare è che un piede fuori è meglio non metterlo mai. Non ci si trova in uno zoo, ma in 12 mila chilometri quadrati di parco nazionale ricoperto di bush, la fitta savana dell'Africa australe. Gabbie non ce ne sono. E gli animali, feroci e non, sono ovunque. Vero è che si tengono a distanza dal lodge, ma avventurarsi a piedi al di fuori della recinzione dell'albergo è una pericolosa imprudenza. Lo si capisce subito durante l'escursione con la jeep.
Dopo la prima curva compare un enorme elefante. Subito, dietro di lui, ancora un altro, poi un altro ancora. Sono decine e decine. Forse centinaia. E non è poi strano incontrarne così tanti se si pensa che, secondo i censimenti più recenti, gli elefanti in Botswana sarebbero più di 50 mila. Si parla di sei pachidermi per chilometro quadrato, che è la più alta densità di tutto il Continente Nero. Gli elefanti attraversano noncuranti la bianca pista sterrata per andare ad abbeverarsi al grande fiume dall'altra parte della strada.
Passano a nemmeno quattro, cinque metri dalla jeep. Motore acceso, pronti a scappare veloci alla prima avvisaglia di aggressività, si rimane stupiti, agghiacciati e nello stesso tempo commossi ed emozionati dalla vicinanza con questi giganteschi pachiderma. Se ne distinguono persino le lunghe ciglia, si contano persino le sottili venature che corrono lungo le grandi orecchie. Qualche centinaio di metri più avanti si incontra un gruppo di leonesse. Sono sei, proprio sul ciglio della strada. All'ombra di una grande acacia spinosa stanno contendendosi i resti di un animale, forse una gazzella. Hanno un'aria indolente e non degnano l'auto e i suoi occupanti nemmeno di uno sguardo. Ma nessuno sarebbe così sciocco da credere a questa apparente docilità. Perché il leone è il felino più pericoloso dell'Africa. Più del leopardo e del ghepardo che, al contrario del re della giungla, difficilmente aggrediscono l'uomo.
L'escursione con la jeep continua così per circa quattro ore. Da una parte e dall'altra della pista compaiono a decine giraffe, zebre, impala, babbuini, bufali e una serie infinita di uccelli. Sono così numerosi e si avvicinano così tanto all'auto che persino l'uso del binocolo diventa inutile. Il binocolo è inutile anche quando in motoscafo si va alla "ippo-pool", la piscina degli ippopotami. Nulla di artificiale. È, molto semplicemente, un'ansa del fiume Chobe, a circa un quarto d'ora dal lodge, dove vivono decine e decine di ippopotami. Ci si avvicina talmente che i continui sbuffi e i terribili versi di questi enormi animali fanno accaponare la pelle.
Alla sera, sulla terrazza del lodge, si cena al lume di candela. Vige la più assolutà informalità. Argomento clou: numero e tipo di animali avvistati durante la giornata. Per quanto riguada il menu, i piatti forti del logde, ma in realtà dell'intero Botswana, sono a base di carne. Ottima e di ogni genere: manzo, impala, struzzo, orice, kudu cucinati soprattutto al griglia, accompagnati da riso, patate, zucca e annaffiati da buona birra alla spina o da vino bianco e rosso prodotto dai vicini vigneti sudafricani.
Dal parco nazionale del Chobe una comoda e veloce strada asfaltata (circa 200 chilometri) porta a sud, verso il parco nazionale di Nxai Pan e la riserva di Makgadikgadi Pan. Si è già sul bordo del deserto del Kalahari e il paesaggio cambia completamante. Non più le colline e il fitto bush delle regioni settentrionali, ma le distese aride dei "pan". Un tempo erano i più grandi laghi dell'Africa, oggi sono acquitrinii durante la stagione delle piogge e abbacinanti depositi di sale e di sabbia per il resto dell'anno. Tanto che da marzo a novembre, con il fuoristrada, si possono fare lunghissime corse sulla piatta e dura crosta di fango e di sale. Basti pensare che il Makgadikgadi, con i suoi 12 mila chilometri quadrati, è il bacino salato più esteso del mondo.
Ed è in questo ambiente lunare, sul bordo delle pozze d'acqua, che si incontrano struzzi, orici e migliaia di fenicotteri. Ed è in una di queste immense saline che si possono ammirare i Baines baobabs, un gruppo di giganteschi baobab vecchi di migliaia di anni, che dominano solitari la sterminata pianura circostante.
Dai pan si risale verso nord e in meno di due ore si arriva in jeep fino a Maun, piccola e anonima città di cinquemila abitanti. Maun è però l'importante base di partenza per quella che gli Tswana, la popolazione più numerosa del paese, considerano con orgoglio e presunzione l'attrattiva più spettacolare dell'Africa australe: il Delta dell'Okavango. Ieri, due milioni di anni fa, l'Okavango era un fiume che sfociava nel lago più grande dell'Africa, il Makdakdigadi.
Oggi, il lago si è prosciugato. E il maestoso fiume si esaurisce nel deserto del Kalahari, aprendosi a ventaglio nella depressione di sabbie e savana, e formando un delta di 22 mila chilometri quadrati, esteso cioè più del Lazio: un mare incontaminato di terra e di acqua dove vivono indisturbati migliaia di animali. L'unico modo per visitare il delta, che è parco nazionale, è arrivarci in aereo da Maun. E l'aereo è anche il modo migliore per farsi un'idea della spettacolarità della zona e per gustarsi tutti insieme, con un unico colpo d'occhio, i suoi incredibili colori: i verdi della savana e dei papiri, i marrone dei canneti, i blu dei fili d'acqua che si perdono nella terra.
Nel delta si alloggia in uno dei numerosi campi tendati. Il nome non tragga in inganno, perché il livello del servizio e delle sistemazioni è spesso quello di alberghi a cinque stelle. Un esempio per tutti: Camp Okavango, uno dei più lussuosi e isolati. Per la sua splendida posizione sull'isola Nxaragha, proprio nel cuore del delta, è il posto giusto per godere appieno della natura selvaggia di questa regione, che è un intrico di canali, un rincorrersi di linee e disegni.
La sua stessa storia poi, sembra uscire da un libro di Karen Blixen. L'idea di costruire un rifugio molto appartato e di lusso venne infatti più di vent'anni fa a Jesse Neal, una ricca americana con un intenso mal d'Africa. L'eccentrica Jesse, stregata da questo Eden naturalistico, fece così costruire due campi tendati, l'Okavango, più all'interno verso nord, e il Moremi, sul bordo orientale nel cuore della Riserva Moremi. Per dieci anni l'americana è stata "l'albergatrice" più famosa del delta. Poi, all'inizio degli Anni 90, la vendita a una società sudafricana, la Desert & Delta Safaris, che si è comunque preoccupata di non apportare modifiche nè alle strutture originali nè allo stile di vita di questi esclusivi eremi.
Oggi Camp Okavango propone 24 tende immerse nella foresta e molto lontane l'una dall'altra. Ognuna ha arredi raffinati e un bagno privato: a cielo aperto e con le pareti divisorie di canne, permette di fare la doccia in mezzo al verde guardando le bouganville e i pappagalli coloratissimi che schiamazzano sugli alti rami dei mopani. Camp Okavango è la migliore base di partenza per escursioni in canoa nella parte più interna del delta. Il momento più adatto è il mattino presto o il tramonto, quando è più fresco e la luce è meno abbacinante.
I mokoro, le piccole canoe a due posti, hanno una guida che spinge la barca con una lunga pertica, e che conduce i visitarori negli angoli migliori per avvistare aquile pescatrici, aironi, martin pescatori, cormorani, cicogne, ibis. Ma in canoa si possono fare anche incontri ravvicinati di grandi dimensioni: dai timidi lichi, un'antilope tipica di questa regione, ai coccodrilli, agli ippopotami. Si trascorrono così alcune ore tra canneti, papiri e ninfee, in un silenzio che è totale, quasi irreale. E, nelle anse più piccole e tranquille dei canali, ci si ferma a bere qualche bibita fresca e a fare il bagno. Qui l'acqua è limpida e tiepida, infestata al massimo da qualche inoffensivo pesciolino. Anzi, l'acqua del delta è talmente pulita (tecnicamente è definita "biologicamente pura"), che si può tranquillamente bere.
Alla sera, l'appuntamento è alle otto per l'aperitivo nella grande sala bar del Camp. Questa struttura centrale in stile coloniale, arredata con poltrone, bassi tavolini e un lungo bancone in legno, è aperta sulla savana. Nessuna luce abbagliante, solo lumi a petrolio e candele. Per non spaventare gli impala che, curiosi, si avvicinano fino a pochi metri, e per assaporare pienamente uno dei leggendari cieli africani: stelle brillantissime in una volta nera come la pece.
Un cameriere serve drink di ogni genere e stuzzichini caldi: focaccine con cipolle o con formaggio. L'atmosfera è molto rilassata. L'unica vera raffinatezza è la grande tavola, perfettamente imbandita con tovaglie ricamate, bicchieri di cristallo, argenteria e candelabri, alla quale siedono, tutti insieme, gli ospiti del Camp. Un gong avvisa della cena: zuppa di verdure e filetto alla griglia con vino del Capo, bianco e rosso. Infine, per il caffè o per il tè, ci si siede intorno al fuoco. E si scruta nel buio appena al di là. Molti gli occhietti fluorescenti: saranno gazzelle, scimmie o elefanti? La notte in tenda trascorre tranquilla. Ma non silenziosa: pappagalli, babbuini e chissà quali altri animali lanciano di continuo acute grida. E al mattino, fatti i bagagli, si ritorna sulla stretta striscia di erba, in attesa dell'aeroplanino che in tre quarti d'ora riporta a Maun.
Chi desidera prolungare la sosta nell'Okavango può fare tappa in qualche altro campo tendato del delta. Se si scelgono quelli nella Riserva Moremi, una delle sue parti più "terrestri", si ha l'occasione di cambiare paesaggio e di vedere i moltissimi animali (zebre, giraffe, giaguari, elefanti, facoceri) che vivono in questa zona. Insomma una storia, e una natura, senza fine....
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