«Non li abbiamo abbandonati: vale anche per loro la presunzione di innocenza, assieme all'impegno preso con noi dalle autorità afghane al rispetto dei loro diritti». Interviene così il ministro degli Esteri Franco Frattini su Facebook in merito alla vicenda degli operatori di Emergency arrestati in Afghanistan.

Ma alle parole concilianti, scritte dal ministro sul social network, ne seguono altre più polemiche, pronunciate a Sarajevo, dove Frattini è atterrato per una visita di stato in Bosnia. Oggetto degli attacchi del ministro sono le dichiarazioni del responsabile comunicazione di Emergency, Maso Notarianni che, allo scadere dei termini (72 ore) ha definito l'arresto dei tre volontari un «sequestro di persona». Secondo il ministro queste parole «hanno il sapore di una polemica politica, che non aiuta innanzitutto i nostri connazionali».

«Noi siamo fermi nelle garanzie di tutti gli arrestati, ho deciso per questo di inviare il consigliere giuridico dell'ambasciata italiana a Kabul, che è un magistrato italiano, per seguire direttamente le vicende di queste investigazioni», ha aggiunto Frattini, «ma se cominciamo a parlare di sequestro trasformiamo in una vicenda politica quella che è una investigazione alle prime battute, che vogliamo seguire garantendo i pieni diritti ai nostri connazionali».

A 72 ore dal loro arresto Matteo dell'Aira, Matteo Pagani e Marco Garatti restano nelle carceri afghane, accusati di avere partecipato a un complotto per l'assassinio del governatore di Helmand. Il fondatore di Emergency, Gino Strada, ha riferito di non avere ancora ricevuto «alcuna notizia ufficiale» sull'indagine. «Non sappiamo nulla, non abbiamo avuto nessuna informazione ufficiale», ha spiegato, «le uniche notizie che circolano sono i deliri di quell'imbecille del portavoce del governatore di Helmand, che deve essere un altro zotico».

Il riferimento è alle dichiarazioni fatte ieri al quotidiano britannico The Times sulla presunta confessione dei tre italiani di Emergency fatta dal il portavoce afghano Daoud Ahmadi. Oggi quest'ultimo ha precisato di non avere mai accusato direttamente i tre volontari dell'organizzazione di Gino Strada: «Non ho mai accusato gli italiani di Emergency di essere in combutta con al Qaida. Ho solo detto che Marco (il chirurgo dell'ong, ndr) stava collaborando e rispondendo alle domande». È una parziale marcia indietro, quella fatta dal funzionario di Helmand su sollecitazione del Giornale e del giornalista Fausto Biloslavo.

Della vicenda intanto si sta occupando anche la procura di Roma. Il procuratore aggiunto Pietro Saviotti, capo del pool antiterrorismo della Capitale, ha incontrato i carabinieri del Ros per fare il punto della situazione. Allo stato non è stato aperto un fascicolo anche perché non è ancora chiara la situazione. Non è escluso però che a breve si avvii una serie di accertamenti entro breve.

Il sito dell'organizzazione Emergencyha dedicato tutta la sua prima pagina alla pubblicazione di un appello per sostenere i tre medici arrestati in Afghanistan. Sono state raccolte quasi 100mila firme tra cui quelle di diversi personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo. L'Ong ha anche chiesto una mobilitazione ai propri sostenitori convocandoli per una manifestazione sabato 17, alle 14.30 in piazza Navona a Roma. Oltre all'appuntamento poche righe per ricordare che «sabato 10 aprile militari afgani e della coalizione internazionale hanno attaccato il centro chirurgico di Emergency a Lashkar-gah e portato via membri dello staff nazionale e internazionale. Tra questi ci sono tre cittadini italiani: Matteo dell'Aira, Marco Garatti e Matteo pagani. Emergency è indipendente e neutrale. Dal 1999 a oggi Emergency ha curato gratuitamente oltre 2.500.000 cittadini afgani e costruito tre ospedali, un centro di maternità e una rete di 28 posti di primo soccorso».

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