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Questo articolo è stato pubblicato il 01 aprile 2011 alle ore 09:18.

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Perché l'Italia non cresce 6 / La ricchezza resta in famiglia (Marka)Perché l'Italia non cresce 6 / La ricchezza resta in famiglia (Marka)

Le famiglie italiane risparmiano meno: l'ultimo allarme l'ha lanciato la Confcommercio, molto tranchant nel dimezzare la propensione media odierna rispetto al 23% del 1990. Ma resiste la loro ricchezza netta, che - secondo le più aggiornate elaborazioni della Banca d'Italia - restava pari a quasi otto volte il reddito disponibile quando la crisi finanziaria era già deflagrata. Su questo terreno Germania e Francia, alla fine dell'ultimo decennio, erano ancora all'inseguimento e non vi sono segnali di sorpasso netto oggi, quando il Pil tedesco galoppa a velocità doppia rispetto a quello italiano e quando gioielli dell'Azienda Italia come Parmalat ed Edison sono sotto attacco da Oltralpe. Di più: i candidati all'acquisto di Pioneer - il maggior gestore di risparmio con radici in Italia - sono Amundi e Natixis, due campioni nazionali transalpini. Perché il leggendario "risparmio degli italiani" - un tesoro superiore agli 8.600 miliardi netti - non sembra essere in campo nel grande match della ripresa, della crescita, dello sviluppo del Paese nei settori strategici?

Famiglia banchiera. «Banca Famiglia, ricchezza d'Italia»: Marco Fortis ha titolato così sul Sole 24 Ore (17 novembre 2010) il suo commento a uno studio globale del Credit Suisse Research Institute. «Il patrimonio privato - sottolineava - copre per 4,3 volte il debito pubblico italiano»: nessun dubbio sulla forza dello stock e dei flussi di lungo periodo del risparmio privato, anche a presidio del rischio sovrano del Paese. La stessa Banca d'Italia, nella sua recentissima indagine sul tema (dicembre 2010) ha avvertito che già nel primo semestre dell'anno scorso la recessione e la volatilità dei mercati finanziari hanno sì corretto leggermente al ribasso le stime, ma senza scuotere il dato strutturale: la quota di ricchezza netta mondiale posseduta dalle famiglie italiane è calcolata nel 5,7%, nettamente superiore alla quota parte di Pil (3%) e di popolazione (1%). Una "torta" così grande, però, presenta fette molto peculiari.

Effetto-mattone. Poco meno di due terzi di questo "tesoro" sono detenuti in attività reali e di queste l'81% rappresentano case d'abitazione. Sette famiglie italiane su dieci vivono (o vanno in vacanza) in case di proprietà. E continuano a investirci direttamente il grosso dei propri risparmi: con i fondi immobiliari non c'è proprio match. È anche così che il debito delle famiglie (pur in crescita) non supera il 78% del reddito disponibile contro il 100% di Francia e Germania e il 130% di Usa e Giappone. La logica letale dei mutui subprime non ha mai attecchito nel Bel Paese. Il real estate autofinanziato, tuttavia, fa perdere subito mobilità al risparmio, lo indirizza più sui sentieri della rendita che su quelli del prodotto. Tuttavia non luccica del tutto neppure quel terzo di ricchezza mantenuto in asset finanziari.

Banche pigliatutto. Il neo-presidente della Consob, Giuseppe Vegas, lo ha certificato nove giorni fa davanti al Parlamento: «Le banche costituiscono il riferimento principale per le scelte d'investimento delle famiglie. A fine 2010 le passività bancarie - depositi e obbligazioni - rappresentavano una quota stimabile nel 58% delle attività finanziarie, mentre i titoli di Stato (italiani ed esteri) pesavano per il 14 per cento». Dopo il crack Lehman Brothers alla tradizionale propensione delle famiglie per gli impieghi liquidi a basso rischio, si è aggiunta la fortissima moral suasion delle autorità monetarie: la salute dei bilanci bancari (soprattutto della loro liquidità) è diventata una priorità di sistema, quasi più che assicurare collocamento a BoT e BTp.
La via di Basilea. I portafogli sono stati via via imbottiti di obbligazioni bancarie mentre negli stessi mesi il pressing internazionale per il rafforzamento patrimoniale delle banche ha raggiunto l'apice con il varo di Basilea 3. Così la concentrazione del risparmio finanziario in banca (che a fine 2009 la Banca d'Italia segnalava a un picco del 73%, al di sopra del 60% medio dell'Eurozona) si è infilata nell'imbuto di un tendenziale razonamento del credito.

Fondi: la grande emorragia. Mercati finanziari turbolenti, famiglie in difficoltà, spinte sui titoli di Stato e bond bancari: non da ultimo, società di gestione del risparmio controllate dalle banche. Non c'è da stupirsi se negli ultimi 36 mesi la raccolta dei fondi comuni in Italia sia stata quasi costantemente negativa. La grande fuga ha portato la quota di ricchezza detenuta dalle famiglie italiane in fondi in un decennio dal 15 a 5 per cento. A soffrirne di più è stata soprattutto la componente azionaria, quella più direttamente votata all'investimento di rischio, nel primario e nel secondario di Borsa. E prima che il ministero dell'Economia varasse - poco più di un mese fa - una parificazione fiscale tra fondi di diritto italiano ed estero, gli asset manager internazionali hanno intanto portato dal 15 al 21% la loro fetta di risparmio gestito complessivo in Italia negli ultimi tre anni (lo dice l'ultima Mappa Assogestioni). E tra nove mesi l'entrata in vigore della Direttiva Ue Ucits IV liberalizzerà l'offerta di strumenti d'investimento nei 27 paesi dell'Unione.

Campioni e pensioni. L'Economia sta premendo perché Pioneer non venga ceduta all'estero da UniCredit ma faccia da nucleo forte di un "campione nazionale", in prima battuta studiando una combinazione con Eurizon, il gestore rivale di Intesa Sanpaolo. L'ipotesi guarderebbe anche allo costruzione progressiva di Sgr più indipendenti dalle banche, sulla scia dei "protocolli" varati da Domenico Siniscalco appena approdato alla presidenza di Assogestioni. Il declino dell'industria domestica del risparmio non aiuta, tra l'altro, la fuoriuscita dell'Italia dal sottosviluppo strutturale della previdenza privata: ancora di poco superiore al 4% del Pil contro una media Ocse del 33 per cento. Ma il neocapitalismo "sussidiario" del dopo-crisi sembra orientato altrove.

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