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Questo articolo è stato pubblicato il 30 marzo 2011 alle ore 08:23.
L'ultima modifica è del 30 marzo 2011 alle ore 07:55.

di Giorgio Santilli
C'erano una volta le infrastrutture. O almeno c'era, nero su bianco, la volontà politica di metterle ai primi posti dell'agenda di governo. A dieci anni dall'approvazione della legge obiettivo, uno dei motori dell'economia si è inceppato. I due principali osservatori della materia, il Cresme e l'ufficio studi dell'Ance, concordano nel registrare un rallentamento degli investimenti in opere pubbliche che dura da sette anni, dal 2004 al 2011, con un calo della spesa in termini reali stimata fra il 25 e il 32 per cento. Significa che si sono volatilizzati almeno 7 miliardi dei 29 spesi nel 2010, 17 per nuove opere e 12 per manutenzioni e rinnovi.
Dal 2008 la caduta ha avuto un'accelerazione brusca: per il Cresme le performance sono state -6% nel 2008, -7% nel 2009, -4,9% nel 2010, con una previsione di -3% nel 2011. L'Ance spiega la caduta con il taglio alle risorse stanziate (-30% nel triennio 2009-2011). La previsione dell'associazione dei costruttori è che nel 2011 i Comuni, per effetto del patto di stabilità, avranno disponibilità ridotte di 3,2 miliardi per pagare le imprese e un altro miliardo lo perderanno nel 2012. Azzerate le spese 2011 in conto capitale dell'Anas, ridotte di 922 milioni quelle delle Fs e di 1,8 miliardi i fondi per l'edilizia sanitaria. La frenata delle opere pubbliche pesa sull'intero mercato delle costruzioni, che quest'anno registra il quinto anno consecutivo di caduta, con una perdita complessiva del 20 per cento.
L'8 maggio ricorrerà il decimo anniversario del «contratto con gli italiani» firmato da Silvio Berlusconi a Porta a porta: in uno dei cinque punti c'erano le grandi opere, illustrate con bacchetta e cartine. La legge obiettivo fu approvata in meno di sei mesi, doveva essere la leva per travolgere ogni resistenza all'apertura dei cantieri. Si deve all'intuizione berlusconiana che un tema generalmente lasciato all'informazione di settore e alle richieste delle organizzazioni imprenditoriali sia stato per anni al centro della vicenda politica italiana. Oggi, però, non se ne parla quasi più.
Ma che cosa è successo alle grandi opere in questo decennio e qual è la situazione ora? Le opere concluse sono poche, ma il programma faraonico della legge obiettivo resta, dopo dieci anni, il punto di riferimento delle cose da fare. Anche il Governo Prodi, con l'eccezione del ponte sullo Stretto, si attenne a quel programma, pur dovendo scontare la resistenza quotidiana di Verdi e Rifondazione comunista.
La legge obiettivo peccava d'ingenuità quando affermava che in dieci anni si sarebbe realizzato tutto. Sfida impossibile. E non solo per le resistenze locali, che pure non sono mancate e che la legge obiettivo non ha vinto. C'era eccesso di euforia e ottimismo. Come per la Salerno-Reggio Calabria, per cui il Dpef del luglio 2002 prevedeva la conclusione entro il 2005. Ora l'opera va avanti, faticosamente procede, nonostante le pressioni della criminalità, alcuni lotti in ritardo non lieve e 2,5 miliardi da finanziare ancora. Ottimismo anche per la Cecina-Civitavecchia, che doveva essere completata nel 2007, e per la Torino-Lione che in quel Dpef si dava per conclusa fra 2011 e 2015 e ha appena pubblicato il progetto preliminare mentre non ha ancora un piano finanziario (è in corso la partita con i francesi per riequilibrare l'onere fra i due Stati).
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