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Questo articolo è stato pubblicato il 07 giugno 2011 alle ore 08:15.
L'ultima modifica è del 07 giugno 2011 alle ore 08:45.

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Come sempre accade, un conto sono le attese mediatiche e un altro i tempi della politica. Era abbastanza ingenuo immaginare che dal vertice di Arcore tra Berlusconi e Bossi, allargato a Tremonti e ai due stati maggiori, sarebbero venute straordinarie novità. Anche il logoramento delle alleanze o la fine di un ciclo obbedisce a certe logiche.

Non si realizza dall'oggi al domani, soprattutto se non ci sono alternative a portata di mano. L'incontro di ieri è la fotografia dell'«impasse». Non segna il collasso del governo, naturalmente, e nemmeno avvia il dissolvimento della legislatura: due campi in cui la prudenza è d'obbligo. Tuttavia anche l'interpretazione affidata ad Alfano, al suo esordio come segretario-portavoce del Pdl, va accolta per quello che è: una verità ufficiale, in stile prima Repubblica (quando i vertici di maggioranza erano sempre un successo e utili al rilancio dell'esecutivo, del quale poche settimane dopo si registrava sovente il decesso).

Vedremo. Quel che è certo, le stesse parole di Alfano suonano piuttosto generiche: «volontà di finire la legislatura», «faremo le riforme», «il rapporto tra Berlusconi e Bossi è solido». Quest'ultima frase è forse la più convincente. In effetti, la relazione personale prima ancora che politica fra i due è buona. E questo spiega perchè Bossi è attento al punto di vista del suo vecchio alleato: più attento di quanto vorrebbe una base leghista da tempo insofferente e inquieta.

Di fronte a un Berlusconi determinato a percorrere l'iter della legislatura fino alla scadenza naturale del 2013, Bossi non ha la voglia e lo spirito per mettersi di traverso. Almeno per ora, all'indomani di un voto così deludente sia per il Pdl sia per la Lega. E se il presidente del Consiglio garantisce che le riforme si faranno perché per riuscirci basta un po' di buona volontà, il capo del Carroccio non lo contraddice. Gli conviene crederci, magari fino al prossimo autunno.

Detto questo, la situazione resta al punto di partenza. La cornice dell'Europa indica il rigido percorso verso il pareggio di bilancio nel 2014. Su questo Tremonti non potrà né vorrà derogare da un impegno firmato, peraltro, dal presidente del Consiglio in persona. Un impegno severo, il cui costo sociale non sarà indifferente a meno di una crescita economica impetuosa che oggi davvero pochi si sentono di prevedere.

Anche qui, però, nessuno ha in mente una politica economica e fiscale diversa. Le cosiddette «pressioni» di Berlusconi sul suo ministro sono più immaginarie che reali: qualche battuta coi giornalisti o poco più. Le risorse finanziarie sono quelle che sono, come ormai sanno quasi tutti. Per cui Tremonti risulta essere il facile vincitore di questo vertice per il resto abbastanza superfluo. Utile forse per puntellare intorno a Berlusconi un quadro di apparente stabilità: quella stabilità che la maggioranza considera ancora un'àncora di salvezza.

Resta da capire cosa Bossi dirà al raduno di Pontida, fra poco più di dieci giorni. È dubbio che il futuro trasferimento a Milano di un paio di dipartimenti ministeriali sarà sufficiente a suscitare l'entusiasmo dei militanti leghisti. E la prospettiva di andare a votare solo nel 2013, dopo aver digerito una fetta consistente della manovra economica, è ancora meno eccitante. Ma per decidere questo aspetto c'è tempo. Arcore ha partorito un topolino, ma il logoramento ha i suoi tempi. Come si conviene a una stagione politica durata quasi vent'anni.

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