Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 27 agosto 2011 alle ore 12:00.
L'ultima modifica è del 27 agosto 2011 alle ore 08:14.

My24

Negli anni Settanta quando si partiva per andare a studiare negli Stati Uniti, si avvertiva un senso di distacco oggi inimmaginabile. Nel tempo dei telefoni cellulari, dei voli low cost, di internet, nulla è lontano. Tutto è prossimo e immediato. Allora, invece, si avvertiva lo spalancarsi di uno spazio di dimensioni indefinite. Ci si preparava a separarsi dal proprio mondo di riferimento con un misto di nostalgia e di avventura.

In quella "valigia di perplessità" che mi accompagnava, era il 1978, avevo però stipato anche tutte le curiosità e le speranze di un viaggio in un territorio visto e letto mille volte ma ignoto all'esperienza di tutti quelli che conoscevo. E le novità già animavano i preparativi della partenza: i visti, le pratiche valutarie, il baule da spedire - e da pesare nella bilancia del macellaio della piazza per rimanere nel peso consentito.
Sapevo che oltre oceano l'Italia sarebbe apparsa come «una piccola provincia dell'Impero», come aveva scritto in quegli anni Umberto Eco. Per uno appassionato della, e coinvolto nella, politica nazionale sarebbe stato difficile seguirne le vicende. Invece l'ambiente in cui andai a studiare, il Massachusets Institute of Technology (Mit), era tutt'altro che alieno dalla vita pubblica nazionale. Perché lì vi insegnava da sempre un mostro sacro dell'economia, Franco Modigliani.

Il futuro premio Nobel insegnava nella Sloan School del Mit, in un edifico collegato alla sede di Scienze politiche dove studiavo io. Grazie alla vicinanza fisico-logistica e all'amicizia di alcuni (pochi) studenti italiani di economia riuscii a incontrare il professore che, come tutti i personaggi di grande levatura, si dimostrò la persona più cordiale e affabile che avessi incontrato fino ad allora nel mondo universitario. Modigliani amava fare da chioccia agli spaesati studenti che venivano dall'Italia. Ma oltre ad invitarci a pranzo, ci coinvolgeva in discussioni animate, fino al punto da spingerci ad animare dibattiti pubblici sui nostri casi nazionali.

L'impatto con l'America era stato attutito dall'accoglienza e dalla cordialità di Modigliani. L'incontro con "Franco" - così voleva essere chiamato da noi pulcini - aveva modificato l'ottica con cui guardavo alla lontana provincia dell'Impero. Non vedevo solo il piccolo e povero Paese di emigranti, la cui presenza si avvertiva fisicamente, nei suoi tratti più tradizionali e dimessi, nel North End di Boston, bensì l'immagine splendente, ma allo stesso tempo oscura, dei grandi intellettuali italiani approdati in America, da Enrico Fermi in poi. C'era quindi da essere "orgogliosi" di condividere l'origine nazionale con un professore così universalmente stimato come Modigliani; solo che poi si affacciava anche la "vergogna" per aver costretto, lui come tanti altri, all'espatrio per le leggi razziali mussoliniane.

Shopping24

Dai nostri archivi