Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 16 gennaio 2013 alle ore 06:40.

My24

In primis serve a vincere, ma il doping serve soprattutto a fare soldi. Molti soldi. In due decenni di attività come ciclista professionista, grazie alle sponsorizzazioni, Lance Armstrong ha accumulato un patrimonio stimato attorno ai 125 milioni di dollari. Adesso che ha finalmente deciso di ammettere di essersi dopato per anni, ci si potrebbe aspettare che Nike e gli altri suoi sponsor pretendano la restituzione di quei soldi. Ma è improbabile.

Il motivo palese è che hanno tutti avuto un ottimo ritorno economico-commerciale. Ma c'è anche un'altra ragione: tra gli sponsor non c'è mai voglia di approfondire troppo la questione del doping. Un'inchiesta del Sole 24 Ore, pubblicata oggi anche dal New York Times, spiega che la diffusione del fenomeno non è attribuibile solo ad atleti, allenatori, medici o direttori sportivi, ma anche a chi alimenta l'ingranaggio con i propri soldi - gli sponsor.

Da uno studio dell'US Postal Service risulta che tra il 2001 e il 2004 le Poste americane hanno speso 32,27 milioni di dollari per sponsorizzare il team di Armstrong, ricevendo benefici di immagine e marketing per 103,63 milioni. E, secondo l'avvocato di Armstrong Tim Herman, chi ottiene un ritorno del 320% in quattro anni non ha motivo - o diritto - di lamentarsi. Gli sponsor di Armstrong non possono neppure dire che sono stati danneggiati da quello che l'agenzia anti-doping americana Usada ha rivelato dopo aver smascherato il "sofisticatissimo sistema di doping" con cui il ciclista texano è riuscito a vincere sette Tour de France. Nel rescindere i loro contratti con l'atleta hanno rilasciato dichiarazioni di netta condanna dell'uso di sostanze dopanti che li hanno fatti apparire paladini dell'onestà nello sport.

Questa è la bellezza della exit strategy degli sponsor. «Fintanto che non sei beccato, rimani il loro più amato e prezioso ambasciatore. Ma nel momento in cui risulti positivo in un test, diventi l'unico colpevole, e vieni abbandonato a te stesso», dice l'ex ciclista olandese Max Van Heeswijk.
Emblematico è il caso di Alex Schwazer. Il 6 agosto 2012, cinque giorni prima della gara dei 50 km in cui avrebbe dovuto difendere la medaglia d'oro di Pechino, il marciatore altoatesino è stato squalificato dal Coni per essere risultato positivo a un test sull'Epo. Schwazer non ha neppure cercato di negare, ammettendo subito di essersi rivolto al dottor Michele Ferrari, il medico che l'Usada ha denunciato come coordinatore del "sistema di doping" di Armstrong.

La reazione del principale sponsor di Schwazer, Ferrero, non si è fatta attendere. Lo stesso 6 agosto la società ha emesso un comunicato-stampa in cui ha dichiarato "il dispiacere dal punto di vista umano per quanto accaduto a Schwazer, un ragazzo semplice che, compiendo un atto molto grave e antisportivo, ha buttato via una carriera di impegno e fatica". Seguiva la presa di distanze: "Il suo contratto con Ferrero era in scadenza dopo le Olimpiadi di Londra 2012 e, ovviamente, non verrà rinnovato".

Shopping24

Dai nostri archivi