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Questo articolo è stato pubblicato il 16 gennaio 2013 alle ore 06:40.

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Rabobank ha sempre detto che le cose sono cambiate con l'uscita di de Rooij nell'estate 2007, quando al posto di un manager con esperienza ciclistica la banca decise di mettere a capo della squadra uno dei suoi banchieri di fiducia, Harold Knebel.
Ma nel dicembre 2007, Dekker è stato trovato con valori ematici anomali mentre Menchov si allenava con l'ausilio del dottor Ferrari. Nel settembre 2010, lo stesso Menchov è stato poi intercettato dai Nas di Firenze mentre parlava con il suo manager del fatto che i suoi compagni di squadra avrebbero dovuto far ricorso al dottor Ferrari. E infine, nel dicembre scorso, l'Unione ciclistica internazionale ha ufficialmente aperto un fascicolo per doping contro Carlos Barredo, anche lui di Rabobank.
«Nel corso del tempo, un numero molto ridotto di corridori Rabobank è stato colto a fare uso di sostanze dopanti e la maggior parte dei casi si è concluso senza rinvio a giudizio o condanna», ci ha risposto la banca.
«Nella mia intera carriera non è mai capitato che uno sponsor mi abbia fatto domande sul doping - dice Jaksche -. Sono solo bravi a proteggere i propri interessi».

Questo avviene innanzitutto attraverso le clausole contrattuali. Il Sole 24 Ore ha saputo da ciclisti di Rabobank che i loro contratti avevano delle clausole che obbligavano l'atleta alla riservatezza non solo per il periodo di impiego con il team ma anche dopo. In eterno.
Particolarmente ambigua è l'appendice di un contratto che ci è stato letto. "Il sottoscritto è consapevole del fatto che Rabobank condanna e proibisce l'uso di sostanze dopanti", c'è scritto. Ma poi si continua dicendo che "se nel periodo di impiego l'atleta dovesse risultare positivo in un test, il datore di lavoro fornirà il massimo dell'assistenza, sia legale che tecnica".

I paragrafi finali sono ancor più emblematici. Quelli da cui risulta chiaro che, in caso di doping, la priorità della banca sarebbe stata di proteggere la propria reputazione assicurandosi che nessuno parlasse. "Il sottoscritto riconosce che l'uso di sostanze dopanti... potrebbe avere serie conseguenze finanziarie sul datore di lavoro, la questione di una potenziale complicità è estremamente delicata per tutti e deve essere trattata con il massimo della cautela... Il suddetto obbligo di riservatezza riguarda esplicitamente qualsiasi dettaglio relativo a eventuali episodi di doping, sui quali il sottoscritto non farà mai alcuna dichiarazione senza il consenso esplicito del datore di lavoro... L'obbligo di riservatezza include esplicitamente anche questa clausola".

A questo proposito Rabobank ci ha spiegato che «le clausole di riservatezza servono a prevenire segreti aziendali». E ha aggiunto che «esse non impediscono agli atleti di comunicare con organi che indagano sul doping».
«Non so quanto sapessero del doping nella nostra squadra i vertici della banca», commenta un suo ex corridore che chiede l'anonimato. «So però che uno sponsor preferirebbe non sapere mai. Perché vuole essere in grado di esprimere il proprio shock nel caso vengano alla luce attività illegali».
Con tali manifestazioni di disgusto per il doping e la disonestà nello sport Deutsche Telekom e Rabobank hanno lasciato il ciclismo, Nike ha rotto con Armstrong e Ferrero con Schwazer. Ma altri sponsor sono sicuramente pronti a prendere il loro posto con nuovi atleti. Non hanno niente da perdere. Almeno fin quando non cambieranno le cose.

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