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Questo articolo è stato pubblicato il 29 gennaio 2013 alle ore 08:00.
L'ultima modifica è del 29 gennaio 2013 alle ore 09:36.

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Va aggiunto che questo è l'unico strumento davvero efficace (più di mille leggi ed editti) per accorciare davvero i tempi di pagamento in tutto il sistema economico italiano, dove le riscossioni delle fatture sono molto più lente che in Germania e Francia. Se il maggior compratore si mette a saldare rapidamente quanto deve, allora tutti gli altri si adegueranno: vuoi perché qualcuno avrà finalmente i soldi per pagare i suoi stessi fornitori, i quali a loro volta salderanno i loro debiti e così via; vuoi perché tutti saranno indotti dalla pressione competitiva a emulare la sana e miglior pratica adottata dal più grande cliente del Paese.

SPREAD PIÙ BASSO
Il denaro circolerà più abbondante e meno caro anche perché il progetto Confindustria porta alla netta riduzione del rapporto debito pubblico/Pil (103,7% nel 2018) e alla potente accelerazione della crescita economica (al 3,0% dal 2017). Ciò migliora nettamente i fondamentali dell'economia italiana e quindi restringe lo spread pagato sui titoli pubblici.
Secondo le stime del CsC l'entità di tali progressi è tale da abbattere il divario di rendimento tra BTp e Bund spiegato dai fondamentali di quasi 100 punti base rispetto al suo livello corrente (pari a 163 punti, in base ai calcoli del CsC) e quindi di circa 180 punti dai valori effettivi attuali. Per prudenza nel modello CSC è stata incorporata una diminuzione di 100 punti.
Ciò innesca un circolo virtuoso tra minor debito pubblico e maggiore crescita, da un lato, e abbattimento dello spread, dall'altro. Il minor spread abbassa il costo del denaro a carico delle imprese e delle famiglie e quindi stimola gli investimenti e i consumi, generando più crescita e così via.

MENO INCENTIVI, PIÙ EFFICIENZA
Gli incentivi alle imprese da parte dell'amministrazione pubblica possono essere di due tipi: contributi alla produzione e sostegno agli investimenti. Il progetto Confindustria prevede di tagliarli per 5 miliardi nel 2014 e per una cifra ancora più alta successivamente, taglio equiripartito tra i due tipi di incentivo. Ricordiamo che gli ultimi dati disponibili indicano in 31,4 miliardi gli incentivi annui, di cui meno di 3 vanno alle imprese industriali. Ridurre gli incentivi non è neutrale rispetto ai comportamenti. Qui si è assunto che le imprese che li ricevono, per lo più pubbliche o controllate dal pubblico, trasformino i tagli in maggiore efficienza. Ma può benissimo avvenire che i buchi causati nei bilanci di tali aziende proprio dai minori incentivi siano chiusi da aumenti di tariffe o di imposte, per poter continuare a erogare i servizi non tanto nelle stesse quantità e qualità quanto soprattutto nella medesima modalità.

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