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Questo articolo è stato pubblicato il 29 gennaio 2013 alle ore 08:00.
L'ultima modifica è del 29 gennaio 2013 alle ore 09:36.

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TAGLI DELLA SPESA NON PICCOLI
Intervenire a ridurre una massa di più di 800 miliardi di spesa sembrerebbe un gioco da ragazzi. Questa spesa tende a lievitare spontaneamente perché le retribuzioni vanno adeguate all'inflazione e lo stesso vale per le prestazioni sociali (come le pensioni) e gli acquisti. La massa aggredibile si riduce se togliamo dalla spesa totale gli interessi (che non è discrezionale), gli investimenti (che vanno invece rilanciati), gli acquisti di beni e servizi (oggetto di una terapia a parte, vedi sotto), i contributi alla produzione (idem, vedi sopra) e le prestazioni sociali, sulle quali si è appena fatta una riforma decisa (sebbene non decisiva sul piano dell'equità, ma questa è un'altra storia). Restano circa 214 miliardi su cui agire. In attesa di una revisione del perimetro dello Stato, bisogna limarli almeno dell'1% l'anno e senza ricorrere ai soliti interventi lineari. Difficile? Sì, se manca la volontà politica e sindacale.

TUTTI GLI ACQUISTI ALLA (NUOVA) CONSIP
Le centrali d'acquisto funzionano benissimo nella grande distribuzione. La pubblica amministrazione, lo ripetiamo, è il più grande compratore di merci e servizi in ogni paese e anche in Italia. Perciò è ragionevole concentrare nella Consip, che è la centrale di acquisti pubblici esistente, non solo la spesa in beni e servizi che ora è effettuata dai ministeri ma anche quella di province (quando le aboliamo?) e comuni. I risparmi iscritti dal CsC (1,6 miliardi nel primo anno, a salire fino a 8,0 nel 2018) sono un de minimis di quanto si potrebbe ottenere razionalizzando e digitalizzando.
Con un solo caveat: Consip deve saper scegliere e acquistare beni che funzionano (oggi non sempre è così), altrimenti invece che ottenere un risparmio si ha un raddoppio di costo. Una sana iniezione di managerializzazione è indispensabile.

CONTRIBUTI UGUALI PER TUTTI
L'Italia è ricca di disuguaglianze sancite dalle norme e forse anche per questo fatica a diventare nazione. Tra queste spicca il carico contributivo che grava sulle imprese per coprire i lavoratori contro il rischio di disoccupazione e che varia a seconda della dimensione e del settore. La Riforma Fornero non è riuscita a intaccare queste diversità, ma occorre farlo se vogliamo avere un mercato del lavoro più flessibile e mettere l'industria che compete sui mercati internazionali su un piano di parità con i concorrenti. L'armonizzazione si traduce, perciò, in una redistribuzione dei contributi pagati, con alleggerimento di circa due punti per le imprese manifatturiere sopra i 15 dipendenti.

ONERI FISCALIZZATI, PENSIONI SALVATE
Per ridare competitività al manifatturiero nell'immediato non si può che intervenire sul costo del lavoro agendo sulla parte del cuneo dal lato delle imprese. Una parte di questo alleggerimento viene dall'armonizzazione degli oneri contributivi (vedi sopra) e un'altra dalla diminuzione dei premi Inail, ora molto elevati rispetto ai sinistri.
Una grossa fetta, quasi 9 punti percentuali, devono venire dalla riduzione degli oneri previdenziali. Gli unici, peraltro, su cui si può agire senza incorrere nel veto della Ue. Bisogna portare quei 9 punti a fiscalità generale e salvaguardare i diritti previdenziali attraverso i contributi figurativi (cioè versati da una mano dello Stato all'altra), una salvaguardia tanto più importante oggi che le pensioni si calcolano in base al monte contributivo individuale.

UN SURPLUS IRRESISTIBILE
Nelle stime CsC, con la ricetta Confindustria che riporta l'Italia su un sentiero di crescita più alto, i conti pubblici vanno in attivo dal 2017. Qui si utilizza una parte di tale surplus (poco più di 7 miliardi) per tagliare l'imposta sul reddito di impresa (Ires), alzando contemporaneamente quella sostitutiva sulle rendite finanziarie: tutte e due convergono al 23%.
Restano quasi altri 7 miliardi di avanzo nel 2017 e ben 28 nel 2018. Che sarebbe bene destinare a diminuire il debito pubblico. Ma sarà difficile trovare politici tanto virtuosi. Potrebbero allora essere impiegati a ridurre ancor più la pressione fiscale, che già scende di tre punti di Pil tra il 2014 e il 2018, o a rimpolpare un po' la spesa (quella corrente primaria si abbassa di sei punti di Pil, sempre nello scenario Csc), una volta che la macchina pubblica sia stata resa più efficiente anche nell'individuare dove maggiori sono i bisogni dei cittadini. A loro l'ardua sentenza.

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