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Questo articolo è stato pubblicato il 26 marzo 2011 alle ore 15:47.

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Se qui da noi negli ultimi dieci anni è mai esploso un caso letterario degno della definizione, questo ha sicuramente a che fare con Mordecai Richler. Giudicate voi: il romanzo «La versione di Barney» a partire dall'uscita italiana (2000) ha venduto oltre trecentomila copie, il film da esso tratto ha superato i 2,5 milioni di incasso e ha riportato di prepotenza il libro in cima alla nostra top ten. Tanta roba a considerare che parliamo di letteratura con la «elle» maiuscola, di un autore ebreo-canadese lontanissimo, per cultura, da ciò che il pubblico del Bel Paese di solito vorrebbe sentirsi raccontare, per giunta di uno scrittore scomparso nel 2001, quindi impossibilitato a saturare gli spazi televisivi che orientano le scelte dei nostri lettori.

Tuttavia è accaduto e, sull'onda lunga del successo, Adelphi ci ha offerto in questi anni la possibilità di leggere a ritroso buona parte della produzione di un grande maestro nordamericano fino a quel momento snobbato dalle major. L'ultimo fenomeno legato alla Richler-mania passa attraverso i libri che rivelano il vissuto dell'autore de «L'apprendistato di Duddy Kravitz» e ci aiutano a comprenderne il mondo: tra questi il nuovissimo «Mordecai» (Adelphi, euro 7, pp. 106) che unisce a un ironico scritto del Maestro sulla similitudine tra l'attività di scrittore e quella di piazzista, una testimonianza del figlio Noah Richler e un saggio dell'editor Matteo Codignola che, undici anni fa, ebbe il merito di scovare «Barney».

Proprio Noah, insieme con la leggendaria madre Florence, la donna per cui il vecchio Mordecai avrebbe dato via tutto, sarà a breve in Italia impegnato un ciclo di incontri sulla figura di suo padre (il 3 aprile a Roma, il 5 a Bologna, il 6 a Torino). Ne abbiamo approfittato per fare quattro chiacchiere con lui sull'arte e la fortuna italiana di Richler ma, soprattutto, su come il suo sguardo di adorabile brontolone avrebbe inquadrato un mondo sempre più confuso.

Noah Richler, com'è nata l'idea di pubblicare «Mordecai»?
Nel caso specifico sono in debito con Christian Rocca. Stavo organizzando il viaggio a Venezia per la prima del film sulla «Versione di Barney» alla Mostra del cinema. Ho contattato Christian, per il quale ho curato una breve prefazione al libro «Sulle strade di Barney», e gli ho spiegato che avevo scritto un pezzo più lungo su Montreal, il film e la morte di mio padre. Lui mi ha suggerito di mandare l'articolo al direttore del «Foglio» Giuliano Ferrara che lo ha pubblicato in una prima versione. Poi, a Venezia, Christian e Giuliano hanno organizzato un pranzo con il loro collega Andrea Marcenaro ma anche con Matteo Codignola, l'editor di mio padre presso Adelphi. Era entusiasta di sottolineare il rinnovato successo del romanzo di papà in tutti i modi che poteva. Non è difficile comprendere come mai mio padre apprezzasse così tanto l'Italia. Chi può mai sottrarsi a un accordo preso in un pranzo con tanto di vino servito fresco? La scena editoriale da voi è fantasticamente civilizzata.

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