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Questo articolo è stato pubblicato il 20 novembre 2011 alle ore 13:55.
Francamente mi lascia sempre perplesso vedere come alcuni bibliotecari reagiscono al principio di "migliorare la società". Mi dicono: "ma chi siamo noi per dire alla comunità come migliorare?" o "chi ha dato ai bibliotcari il diritto di influenzare la comunità?". Temono lo spettro di una specie di bibliotecario autoritario che detta legge in materia di gusto o di verità presso i nostri vicini, studenti, rappresentanti. In realtà, non colgono il punto.
Il punto non è che i bibliotecari dettino legge presso la comunità, quanto piuttosto che ascoltino la comunità, e insieme ad essa decidano che cosa contribuisce a rendere un domani migliore. Nella conversazione su che cosa significhi il miglioramento - la converszione più importante che possiamo fare - una comunità discute su quello che intende per miglioramento. Inoltre, i bibliotecari di quella comunità – anch'essi parte della comunità, e quindi con voce in capitolo – sono allo stesso modo influenzati dalla conversazione alla quale cercano di dare forma. Sono portati ad organizzare se stessi e i loro servizi secondo le norme e i bisogni della comunità. Inoltre indirizzano la conversazione cercando di preservare i valori base della nostra professione sviluppata attraverso più di 3000 anni di storia. Dobbiamo sostenere l'importanza dell'apertura delle idee; la privacy dell'individuo nell'affrontare queste idee; la convinzione che le idee migliori provengono dalle fonti d'informazione più ricche e diverse; l'importanza dell'apprendimento.
Alcuni avranno forse notato che non ho incluso il concetto di imparzialità. Questo perché non si può essere imparziali, né privi di preconcetti, di "bias". Come esseri umani, instilliamo i nostri valori, i nostri "bias", e la nostra stessa visione del mondo in tutto ciò che facciamo. Il linguaggio che usate, il colore della vostra pelle, il posto in cui siete cresciuti, la vostra educazione, tutto influenza il modo in cui vedete il mondo e interagite con esso. Non siete imparziali. Come bibliotecari crediamo che la privacy sia essenziale – è un preconcetto. Come bibliotecari crediamo che più punti di vista su un argomento sono meglio di pochi – è un preconcetto. Crediamo, spero, che i bibliotecari e le biblioteche svolgano un ruolo vitale in una democrazia. Anche questo è un preconcetto. Non possiamo essere imparziali e privi di preconcetti, ma possiamo essere intellettualmente onesti.
Prendete le scienze. Io sono un "information scientist", uno "scienziato dell'informazione". Gli scienziati non solo hanno riconosciuto che abbiamo tutti dei "bias", ma hanno anche trovato una misura per quantificare questi preconcetti. Eppure, la gente guarda ancora alla scienza come un metodo adatto ad osservare il mondo. Perché? Non perché gli scienziati, in quanto persone, siano oggettivi e neutrali, ma perché gli scienziati hanno sviluppato, insieme a determinati strumenti, un'etica di onestà intellettuale. Come scienziato, riconosco che i miei metodi possano avere dei difetti, così li sottopongo a un riesame. Riconosco che la mia interpretazione dei dati possa essere sbagliata, per questo pubblico i miei risultati. La scienza conosce la differenza fra imparzialità e trasparenza. Come bibliotecari, dobbiamo anche noi fare nostra questa distinzione.
Parlando di scienza, devo fare una precisazione a proposito di un equivoco ancora piuttosto diffuso. La scienza non è qualcosa di freddo. Essere un bravo scienziato non significa spegnere le emozioni ed avvolgersi in un'aura di oggettività. La scienza e la conoscenza hanno a che fare con la passione e la determinazione. Nella scienza significa un'urgenza di comprensione, spiegazione, verità. Nella biblioteconomia è il perseguimento di un servizio e del miglioramento della comunità. Nella scienza e nella biblioteconomia noi ci facciamo carico di questa passione, di questa missione, e cerchiamo di usare strumenti e metodi oggettivi e imparziali, non per escludere le passioni, ma per essere sicuri che le prove che usiamo nella nostra ricerca siano accurate e credibili.
Questa quindi è, almeno in parte, una risposta alla prima delle minacce alla biblioteconomia – la visione "funzionale". Per troppi di noi, e per troppo tempo, la nostra nobile professione è coincisa soltanto con i nostri strumenti. Attività come la catalogazione, o come lo sviluppo delle collezioni, sono meri strumenti tanto quanto il catalogo e le collezioni. Uno strumento senza uno scopo non ha senso. È solo quando i nostri strumenti vengono utilizzati che acquistano valore. Di conseguenza, mentre gli strumenti sono importanti, la vera definizione della nostra professione, o di qualunque professione, sta nel loro impatto e nel loro utilizzo. Dobbiamo definire noi stessi tramite i nostri obiettivi. Non siamo "organizzatori", siamo "facilitatori". Non siamo "collezionisti", ma siamo coloro che conducono a nuove idee. Gli edifici, i libri, e i processi sono utili solo quanto la nostra capacità di migliorare le nostre società, di renderle più consapevoli. Che cos'è un bibliotecario? Qualcuno che combatte in nome di una civiltà istruita e informata come componente necessaria della democrazia. Che cos'è un bibliotecario? Un esperto mediatore che aiuta studenti, professori, uomini d'affari e politici a compiere decisioni migliori. Come lo fa? Oggi attraverso le collezioni, domani non si sa.
Ho parlato anche di un grande successo che finirà col condannare la biblioteconomia come la conosciamo oggi. Quel successo è la partecipazione, e la convinzione che le comunità che serviamo abbiano voce in capitolo su come noi facciamo il nostro lavoro. Come incorporiamo tutto questo in una nuova biblioteconomia? Per rispondere a questa domanda devo raccontarvi una storia.
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