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Questo articolo è stato pubblicato il 31 maggio 2012 alle ore 16:06.

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Lelli Masotti, "Empty words"Lelli Masotti, "Empty words"

Quelli che c'erano, ricordano che negli anni Settanta, a Milano, tutti i sabati c'era una manifestazione, e tutti i muri erano pieni di scritte. Una recitava così: «il proletariato non ha nazione, internazionalismo rivoluzione». Negli anni Settanta, a Milano, la gente scendeva in piazza contro la guerra in Vietnam, eppure per le strade si sparava, e sulle strade restavano i morti, e in piazza si facevano i funerali.

«Pum ta ta / pum ta ta / pum ta ta /
(tamburo) (pistola)
valzer».
Così scrive Giuseppe Chiari, musicista attivo nel gruppo Fluxus e nel Gruppo 70, nel suo Valzer per Carla del '69, cogliendo una doppia anima di quel decennio che a Milano comincia con la strage di Piazza Fontana e si dissolve nella Milano da bere. Da un lato la violenta ribellione al sistema sociale e politico, dall'altro i cambiamenti profondi a livello artistico ed estetico.

L'arte degli anni Settanta
Dell'arte di quel periodo che scorre come un fiume in piena tra provocazioni e performance, tra ricerca costante e sperimentazioni, sempre intrecciate con le tensioni sociali e con la politica, Milano è stata protagonista a livello internazionale. La città stessa, era un grande «laboratorio di comunicazione militante».

È il decennio dell'arte concettuale: poetiche tra loro diverse, ma accomunate da una metariflessione. L'arte indaga se stessa. Che cosa renda «artistico» un oggetto, si chiedono i concettualisti, nel tentativo di cogliere l'istante sorgivo e misterioso della creazione, il momento inconscio della poiesis in cui germinano le idee. Art as idea as Idea è il sottotitolo di un'opera di Kosuth del '66.

E mentre, nelle strade, l'anima della rivoluzione urla per affermarsi, l'arte cerca invece il silenzio.

Polifonia in mostra
Milano, in quegli anni, è un coacervo di linguaggi che vanno dal teatro sperimentale alla moda, dalla fotografia al video, alla performance, all'architettura, al design.

È attivo il movimento Fluxus, a Milano operano artisti come John Cage e galleristi come Salvatore Ala, la città è la ribalta internazionale dei Nouveaux Realistes, con la mega mostra organizzata dal comune alla Rotonda della Besana a cura di Pierre Restany, allestimento di Gae Aulenti, e il Festival del 1970.

Una polifonia di voci che la mostra «Addio Anni '70. Arte a Milano 1969 - 1980», visibile da oggi al Palazzo Reale di Milano, punta a restituire alla memoria, in uno sforzo di "catalogazione" e ascolto che si pone in linea con il rigore concettuale di quel decennio: quasi a volerne raccogliere, idealmente, il testimone.

E sono 230 i lavori che invadono pacificamente l'intero primo piano del Palazzo, in tutto 28 stanze. Si tratta di oggetti, fotografie, sculture, video, libri, manifesti, installazioni, provenienti da collezioni private, da fondazioni, e dagli stessi artisti.

Anni 70 tra passato e futuro
Un itinerario che - nelle intenzioni dei due curatori, Francesco Bonami e Paola Nicolin - rifugge da qualsiasi linearità o criterio cronologico: così, lo spettatore è libero di attraversare le diverse esperienze di quegli anni, per coglierne la contaminazione dei linguaggi e lo smantellamento definitivo del sistema tradizionale delle arti. Un'atmosfera vibrante e carica di aporie, ma anche di progetti, di impegno collettivo, di idealità, che oggi sembra lontano anni luce. E che invece sta lì, dietro l'angolo.

«È l'irregolarità dei tragitti, che animano la scena artistica milanese, una delle principali caratteristiche a cui quale si è prestato attenzione, nell'immaginare un possibile percorso di opere, artisti e situazioni», spiega Paola Nicolin, curatrice anche del catalogo, ricco di documenti del decennio, che registra in perfetto stile anni 70.

«La mostra - spiega inoltre Bonami - è una "verifica" sulla nostra memoria», rivolta a chi ha vissuto un'esperienza diretta di quel periodo, ed è una sorta di test su coloro che sono nati nei decenni successivi, per capire quanto abbiano lasciato il segno, politico ed estetico.

Se è vero che non c'è futuro senza memoria, Addio Anni 70 è un invito a guardare avanti.

Verso il grado zero
Una premessa è inoltre doverosa: chi si aspetta dalle opere in mostra emozioni o esperienze legate all'aisthesis, alla sensazione, potrebbe restare deluso. Perché l'evento in corso a Milano, nella fedele registrazione dei percorsi, punta a restituire ciò che gli anni Settanta hanno rappresentato per l'arte, in primis la «riduzione» dell'oggetto artistico nella sua fisicità, e l'azzeramento delle sue valenze estetiche.

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