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Questo articolo è stato pubblicato il 31 maggio 2010 alle ore 13:49.
Inevitabile. È questo il tratto prevalente della manovra correttiva da 24,9 miliardi varata dal governo. Il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi vi si sofferma in un passaggio della sua relazione, per ricordare come il debito pubblico, sceso di 18 punti tra il 1994 e il 2007, nell'ultimo biennio di recessione è salito al 115,8% del Pil. Le perduranti tensioni sui mercati finanziari, la crisi innescata dalla Grecia e il conseguente attacco della speculazione ai debiti sovrani non ha offerto, in poche parole, alternative.
Poichè il testo del decreto è stato appena controfirmato dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, dopo una lunga opera di riscrittura e limatura, il governatore non si esprime nel merito, se non per segnalare che la strada non può che essere obbligata: contenere la spesa corrente primaria (al netto degli interessi) che negli ultimi dieci anni è cresciuta in media del 4,6% l'anno; ridurre in via strutturale e progressiva l'evasione fiscale.
Sull'argomento la posizione di Draghi è netta e condivisibile: l'evasione - che le ultime stime collocano tra i 100 e i 120 miliardi di euro – non è solo un fattore distorsivo dell'economia, e il vero freno alla crescita. Il ragionamento è questo: un'evasione di tale portata finisce per pesare esclusivamente su chi le tasse le paga per intero. La pressione fiscale effettiva su questa amplia platea di contribuenti (per gran parte il lavoro dipendente) è dunque ben più ampia di quel che viene registrato dalle statistiche, e supera in molti casi il 50% del reddito.
Il pacchetto antievasione contenuto nella manovra correttiva va senz'altro nella giusta direzione. Occorre però fare un passo in più: uscire dalla logica del recupero di nuove entrate per contenere il disavanzo (che se mai deve essere ridotto prima di tutto sul fronte della spesa corrente), e far si che la lotta all'evasione divenga una leva di sviluppo. In che modo? Utilizzando quel che si recupera per ridurre le aliquote, premiando in tal modo prima di tutto i contribuenti onesti.
Interessante e assolutamente da condividere è la tesi che fa da sfondo alle considerazioni del governatore: deve essere reso visibile ai contribuenti il nesso tra le due azioni. Più gettito si recupera per effetto della lotta ai contribuenti infedeli, più aumenta la "dote" da distribuire sotto forma di minori tasse. In poche parole, occorre un salto nella strategia complessiva di politica economica, ma anche etico e culturale. Si creerà in tal modo una sorta di circuito virtuoso, con effetti immediati sulla crescita dell'intera economia nazionale.