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Economia Politica economica

Sì al fondo Ue anti crisi. Berlino vara 80 miliardi di tagli. E Parigi scopre di essere la prossima preda

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Questo articolo è stato pubblicato il 08 giugno 2010 alle ore 08:42.

Accordo faticoso ma finalmente raggiunto sulla creazione del nuovo Fondo anti-crisi e salva-Stati dell'area euro per un totale di 500 miliardi, cui vanno aggiunti i 250 dell'Fmi. Accordo tra Eurogruppo, Fmi e Commissione europea sulla necessità di accelerare il consolidamento dei conti pubblici, con attenzione particolare a debiti e avanzi primari, il varo delle riforme strutturli nonché il via libera alla nuova architettura finanziaria globale, anche alla luce delle ultime indicazioni del G-20.

Giudizio positivo sulle misure concrete presentate ieri sera da Italia, Francia e Germania, perché, ha sottolineato Jean-Claude Juncker, «mostrano il rispettivo impegno ad attuare il processo di riduzione dell'indebitamento, che continueremo a sorvegliare da vicino». Via libera, infine, all'ingresso dell'Estonia nell'euro: a partire dal 1° gennaio prossimo diventerà il 17esimo membro della moneta unica. Queste, in sintesi, le decisioni adottate ieri a Lussemburgo dai 16 ministri finanziari dell'Eurogruppo, esposte dal suo presidente Juncker.

Si era capito fin dal principio che il Fondo di stabilizzazione dell'euro non avrebbe avuto un parto facile. I ministri dell'Eurogruppo in teoria ieri avrebbero dovuto limitarsi a dare la benedizione all'accordo messo a punto nel week-end dai "tecnici". Invece, ancora una volta, il diavolo si è fatto strada nei dettagli e la discussione si è protratta per ore prima di vedere il traguardo. Decisamente in ritardo sulla tabella di marcia.

Oggetto del contendere la questione certo non secondaria della gestione del Fondo: scartata la Commissione Ue, che si era candidata, restavano in pista la Bce insieme alla nomina del fiduciario del Governi alla guida della nuova facility. È stata quest'ultima, la solita questione delle nomine, la scintilla che ha rallentato l'intesa facendo slittare molti dei punti in agenda.

Si chiamerà Efsf, l'ennesima sigla per indicare il meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (European Financial Stability Facility) che avrà sede in Lussemburgo e farà capo a una società di diritto lussemburghese con personalità giuridica autonoma, un consiglio di amministrazione, un ad e un presidente. Per quest'ultimo si sussurrava ieri sera il nome del greco Lucas Papademos, fresco ex-vice presidente della Bce. Per la carica di amministratore delegato, «il processo di selezione è cominciato» ha annuncito Juncker. In questo caso indiscrezioni parlano di un nordico, probabilmente un tedesco.

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Il fondo, che sarà operativo dalla fine di giugno, nella sua attività sui mercati potrà avvalersi della longa manus di Bce e Bei. Potrà contare su una dotazione di 440 miliardi di euro di garanzie nazionali a lungo termine da parte dei 16 paesi dell'euro in base alla rispettiva quota di capitale nella Bce. Maggiorata però di un 20% da parte di ciascuno. La ragione, ha spiegato il commissario Ue competente Olli Rehn, è quella di garantire il massimo rating possibile, cioè la tripla A, ai prestiti erogati dal Fondo. Quel 20% servirà infatti a creare una sorta di riserva-cuscinetto che potrà essere attivata qualora uno dei paesi dell'area non fosse in grado di far fronte alle garanzie per salvaguardare la stabilità di eurolandia.

Accanto al fondo intergovernativo, che avrà durata triennale, ci sarà anche quello europeo da 60 miliardi, gestito dalla Commissione Ue secondo le stesse condizioni previste dal primo: sarà in grado di mobilitarsi immediatamente qualora fosse necessario e in attesa che l'altro diventi operativo a pieno regime. Su precisa richiesta di un paese dell'eurozona in difficoltà e una volta negoziati impegni e condizioni per ottenerne l'erogazione, l'Efsf potrà emettere bond con tripla A (che potranno essere utilizzati anche per le operazioni di rifinanziamento della Bce) per raccogliere fondi da dirottare sul paese in difficoltà,

La caduta dell'euro «dimostra che dobbiamo far entrare in vigore il meccanismo perché i mercati vogliono non soltanto avere spiegazioni ma vedere anche i fatti» ha dichiarato il tedesco Wolfgang Schäuble, salutando l'accordo raggiunto in seno al club dell'Eurogruppo. Che ieri si è letteralmente sbracciato per minimizzare l'importanza dei costanti scivoloni della moneta unica rispetto al dollaro. «Non siamo preoccupati» ha dichiarato Juncker. «Più che il livello è preoccupante la rapidità dell'evoluzione negativa» ha chiosato Rehn. Il quale certo non ignora che un euro debole, in un'Europa stretta nella morsa del rigore, può essere un prezioso tonico per la crescita economica. Detto questo ieri a sollecitare il rigore di bilancio e il «completamento dell'unione monetaria attraverso una maggiore governance economica» ha provveduto anche il consueto rapporto del Fondo monetario sull'eurozona.

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