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Questo articolo è stato pubblicato il 12 giugno 2010 alle ore 10:22.
9.30 - Il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, saluta con enfasi l'accordo separato tra Fim e Uilm da una parte e la Fiat dall'altra sullo stabilimento di Pomigliano d'Arco in Campania siglato venerdì sera. Da Santa Margherita Ligure, dove si è aperta la seconda giornata del convegno anale de giovani impren ditori di Confindustria, Sacconi ha definito l'accordo «una svolta storica nelle relazioni industriali italiane. Un momento di passaggio importante che, da oggi, rende il paese più moderno». L'accordo per il rlancio dello stabilimento campano non è stato firmato dalla Fiom che lunedì riunirà il comitat centrale. Prevede investimenti per 700 milioni per la produzione della nuova Panda in cambio di un quadro sindacale stabile e non conflittuale.
11.20 - Sull'accordo per Pomigliano è intervenuto da Venezia anche l'ad della Fiat, Sergio Marchionne. Con minore enfasi rispetto al ministro, Marchionne ha riconosciuto che «è stato fatto un passo avanti. Poi – ha aggiunto – bisognerà chiudere, ma se ieri finiva male si sarebbe creato un grandissimo problema». Gli investimenti su Pomigliano, dunque, sono ora legati alla decisione della Fiom di lunedì prossimo. Se i metalmeccanici della Cgil non firmassero, la Fiat potrebbe decidere di avviare la produzione della nuova Panda negli stabilimenti esteri, in Serbia o in Polonia. Lunedì la decisione del comitato centrale della Fiom scioglierà la riserva e in ogni caso ci sarà un referendum tra i lavoratori sull'accordo.
Sacconi ha comunque sottolineato il valore innovativo dell'accordo perché «è la prima volta che la Fiat decide un investimento, uno straordinario incentivo, grazie all'accordo degli attori sociali. Mai come questa volta tutto questo si realizza con un accordo pesante tra gli attori sociali che vale molto di più di tanti incentivi finanziari». Un accordo che, secondo il ministro, indica la direzione in cui tutto il paese deve muoversi: «La scelta è meno stato e più società. Meno regole, meno strutture della mano pubblica e meno intermediazione politico-istituzionale perché il tempo è cambiato. Più società significa più mercato, più sussidiarietà».
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