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Questo articolo è stato pubblicato il 12 luglio 2010 alle ore 16:01.
«I fondi interprofessionali stanno dando un grande contributo alla formazione dei lavoratori perché, essendo gestiti dalle parti sociali, possono indirizzare la loro attività dove ci sono le maggiori necessità», secondo Paolo Carcassi, segretario confederale Uil, responsabile per lo sviluppo sostenibile e le politiche energetiche, in questo momento di crisi il bisogno dei lavoratori è di riqualificarsi per trovare nuovi sbocchi. La formazione diventa perciò l'arma per reinserirsi nel mercato del lavoro. «Anche se rispetto agli obiettivi di Lisbona siamo ancora il fanalino di coda perché in Italia la formazione non è tenuta in gran conto - rincalza Luciano Silvestri, responsabile Cgil dei fondi interprofessionali e vice presidente di Fondimpresa - la bilateralità dei fondi agevola oggi questo recupero, più che mai necessario». E l'accordo di febbraio tra parti sociali e governo, che permette di estendere l'offerta formativa anche ai lavoratori in mobilità prima esclusi, ne è una prova.
«Anche gli enti pubblici sono protagonisti di questa sfida - continua Silvestri - perché devono fornire le liste dei lavoratori e analizzare di quali esigenze formative il territorio ha bisogno». Un confronto continuo, quindi, che dia spazio anche a nuove attività formative, «come quelle sulla sicurezza e sui temi ambientali che Fondimpresa propone - spiega Carcassi - e che speriamo siano prese a esempio dagli altri fondi». Anche i lavoratori partecipano: «Chiedono più formazione sugli aspetti della sicurezza, dell'ambiente e della salute, e noi attraverso l'uso dei fondi possiamo intercettare le loro esigenze e quelle delle aziende, che sempre più percepiscono la formazione come un elemento di qualità capace di aumentarne la redditività», spiega Silvestri. È grazie infatti alla formazione se il lavoro è svolto in maniera più qualificata e produttiva. «Il sistema dei fondi doveva essere rodato, dopodiché nostro obiettivo è riuscire a usarlo a pieno regime - dice Carcassi - il problema non è avere le risorse, ma saperle indirizzare verso settori specifici e nuovi». Se, infatti, le medie e grandi imprese hanno meno difficoltà nell'organizzare la formazione, sono le piccole che devono essere aiutate, «bisogna trovare nuove modalità che siano adatte anche per chi ha pochi dipendenti e per attivare corsi formazione deve fermare il processo produttivo», osserva Silvestri. C'è, quindi, ancora tanto da lavorare, perché come spiega Giorgio Santini, segretario confederale Cisl, responsabile della formazione, «chi non ha mai fatto formazione fatica ad iniziare, ed è a loro che dobbiamo arrivare».