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Economia Aziende

Scontro sulla Fiat in Serbia. Il Governo chiede di aprire un tavolo

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Questo articolo è stato pubblicato il 23 luglio 2010 alle ore 08:49.

TORINO - «Credo si debba riaprire un tavolo tra le parti per discutere l'insieme del progetto "Fabbrica Italia"». Il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, interviene sulle polemiche sorte dopo l'annuncio di Sergio Marchionne, amministratore delegato Fiat, relative alla futura monovolume, la L0, che sarà prodotta in Serbia e non più a Mirafiori, come previsto proprio dal piano industriale del Lingotto. «C'è modo – aggiunge il ministro – di saturare i nostri impianti alla luce dei buoni risultati che il gruppo sta ottenendo».

Ma per il ministro servono relazioni industriali cooperative e non minoranze che bloccano la produzione. La presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, che incontrerà Marchionne nei prossimi giorni, torna sul caso Pomigliano invitando ad evitare «conflitti troppo pesanti, ma senza mollare sugli obiettivi di produttività». A fianco di Sacconi anche Calderoli. Il trasferimento in Serbia troverà la totale opposizione del ministro della Semplificazione: «L'ipotesi ventilata da Marchionne – spiega Calderoli– non sta nè in cielo nè in terra, sappia che troveranno da parte nostra una straordinaria opposizione». A Torino le dichiarazioni dell'amministratore delegato hanno creato particolari timori, anche se Gianfranco Carbonato, presidente degli industriali subalpini si dice certo «che la Fiat troverà soluzioni alternative che non penalizzeranno il territorio».

E concorda con quanto sostenuto dal sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, secondo cui su Mirafiori non possono ricadere le conseguenze di Pomigliano. Molto meno ottimista è Giorgio Airaudo, leader della Fiom piemontese. «L'attacco di Marchionne al sindacato – assicura – è propagandistico. La scelta della Serbia è solo economica: oltre il 70% del finanziamento è a carico del governo di Belgrado, la Fiat non pagherà alcun tipo di tassa per 10 anni, incasserà a fondo perduto 10mila euro per ogni lavoratore assunto e pagherà un salario pari a 400 euro al mese, con l'esclusione di qualsiasi aumento. Se avesse queste condizioni in Italia, Marchionne non avrebbe delocalizzato».

Marco Racca, del Centro studi Polaris, aggiunge che anche in Polonia e in Russia la Fiat incassa finanziamenti pubblici, «esattamente come ha fatto in Italia per aprire stabilimenti al Sud, salvo poi chiuderli, come a Termini Imerese; e a Torino l'azienda ha incassato 70 milioni per cedere agli enti locali e alla Regione una parte inutilizzata di Mirafiori, rimasta tutt'ora senza attività produttive nonostante le promesse». Ma Roberto di Maulo, segretario della Fismic, respinge l'ipotesi di un confronto con l'azienda basato sullo sciopero: «Vogliamo sfidare la Fiat sul piano della concretezza, assicurando che siamo pronti a firmare a Mirafiori un accordo analogo a quello siglato per Pomigliano, in cambio di immediate certezze sui modelli da produrre a Mirafiori». Perché, prosegue Di Maulo, se anche dovessero arrivare a Torino le Alfa, non avverrebbe prima del 2013. Inoltre non sarebbe facile raggiungere le 250-280mila vetture prodotte all'anno, cioè i livelli promessi per la monovolume.

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«E nel frattempo mandiamo i lavoratori in cassa integrazione per due anni?». Una soluzione che – rileva Giorgio Cifarelli, del Forum Cultura e Impresa – avrebbe pesanti ripercussioni su tutto l'indotto, già alle prese con una crisi di ampie proporzioni «che ha portato i fornitori piemontesi ad accrescere la dipendenza dalle commesse Fiat». Dunque è a rischio non solo il futuro dei 16mila lavoratori impegnati a Mirafiori (circa la metà sono operai), ma di tutti gli occupati nella componentistica. Quanto all'ipotesi di una vettura elettrica, Di Maulo è scettico, soprattutto in considerazione dell'ipotesi di creare un polo dell'elettrico a Termini Imerese. È evidente che non ci sarebbe spazio per tutti, considerando i progetti della Pininfarina con Vincent Bolloré per la realizzazione di un'auto elettrica proprio in Piemonte. Ma sull'auto ecologica della Fiat un'intesa era stata raggiunta anche con il presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota, che ieri ha ricordato come Marchionne si sia pubblicamente impegnato ad aumentare l'occupazione a Torino nei prossimi 5 anni. «A maggior ragione – ha proseguito Cota – dopo i risultati d'esercizio appena resi noti, ritengo che questo impegno sia da mantenere».

È evidente che il futuro di Mirafiori crei preoccupazioni che vanno al di là dei numeri dello stabilimento torinese. «Perché Marchionne – riprende Airaudo – è sempre stato attento agli aspetti simbolici.

E aver comunicato a Detroit il futuro di Mirafiori è un simbolo chiaro, molto diverso da quello scelto in occasione della presentazione, a Torino, della 500 che pure veniva prodotta in Polonia. Per Fiat, evidentemente, Torino non è più né centrale né simbolica».

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