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Economia Aziende

La maxi-evasione nel tessile cinese ha nascosto al fisco 300 milioni in due anni

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Questo articolo è stato pubblicato il 05 agosto 2010 alle ore 08:12.

C'era anche un tariffario dai 150 ai 600 euro per un servizio fatto su ordinazione e con "consegna a domicilio". La cifra massima è stata pagata da un'impresa per avere una falsa fattura record da 309.600 euro: un mega-costo portato in detrazione per frodare il fisco. «In alcuni casi – spiega Domenico Minervini, comandante regionale della guardia di finanzia in Emilia-Romagna – c'erano aziende che andavano addirittura in credito d'imposta».

Un salto di qualità. Al mosaico di attività illecite che vanno dalla manodopera clandestina, allo spaccio, al lavoro nero, la criminalità economica cinese aggiunge un altro tassello, di matrice ben più raffinata, costruito probabilmente anche con l'ausilio di giovani commercialisti italiani, ma di origine cinese.

La guardia di finanza dell'Emilia-Romagna ha portato alla luce un traffico di false fatturazioni emesse da dieci società "cartiere", gestite da cinesi, con sede in Emilia-Romagna, Marche, Toscana e Lombardia. A beneficiarne sono state 1.200 aziende di imprenditori tessili, sempre cinesi, operanti in tutta Italia (tranne che in Basilicata, Molise, Trentino-Alto Adige e Val d'Aosta) e con la maggiore concentrazione in Veneto, Emilia-Romagna e Toscana. Sarebbero stati così sottratti a tassazione redditi per 250 milioni in due anni, oltre a un'evasione Iva da 45 milioni di euro.

Per ora sono 37 gli imprenditori denunciati, fra fruitori del sistema e titolari delle cartiere, per emissione e utilizzazione di false fatture per operazioni inesistenti; a questi si aggiunge l'arresto di due imprenditori e di 11 lavoratori, ma per altri reati - legati alla clandestinità e allo sfruttamento di manodopera clandestina - emersi dalle indagini. A breve le denunce per il reato fiscale dovrebbero però raggiungere tutti i 1.200 imprenditori.

Al gruppo non è contestata l'associazione per delinquere, ma le Fiamme gialle vogliono vederci chiaro sul fatto che da tutta Italia ci si rivolgesse sempre alle stesse dieci cartiere. È qui che andrà chiarito il ruolo di otto studi di commercialisti (di Firenze, Prato, Bologna, Modena e Milano) intestati a cinesi (tutti tranne un italiano, ma con praticanti cinesi in studio), laureati in Italia, contabili e consulenti delle 1.200 aziende coinvolte. Al momento a loro carico non ci sono però addebiti.

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Tags Correlati: Domenico Minervini | Emilia Romagna | Fisco | Guardia di Finanza | Lombardia | Toscana

 

«Non vogliamo criminalizzare tutta l'imprenditoria cinese – precisa il generale Minervini – ma è invece evidente e preoccupante il salto di qualità». Del resto non si parla del classico laboratorio abusivo che sfrutta clandestini, ma di imprenditori formalmente in regola che lavorano nella catena del subappalto per le ditte della moda italiana. A dettare le false fatturazioni, dunque, sarebbe stata proprio la voglia di "abbattere" il peso di incassi innegabili.

Per arrivare a questo punto ci sono voluti due anni di indagini – ancora in corso – partite nella primavera del 2008 con un blitz del comando provinciale della Gdf di Ferrara in 14 laboratori tessili. Lì la scoperta di una cittadella di clandestini cinesi che vivevano in pessime condizioni, lavorando di notte negli opifici abusivi. L'analisi delle carte e dei conti ha portato poi alla scoperta del giro di false fatturazioni.

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