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Economia Aziende

Tirrenia verso lo «spezzatino»

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Questo articolo è stato pubblicato il 06 agosto 2010 alle ore 09:20.

Tirrenia va in amministrazione straordinaria. Ieri il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, ha firmato il decreto che ammette la società di navigazione pubblica alla procedura; come prevede la legge Marzano (166/2004, con le successive modifiche) per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza. Un percorso che può preludere alla vendita dei singoli asset di Tirrenia; soluzione tutt'altro che invisa agli armatori italiani ma fortemente avversata dai sindacati. Nel decreto è stato anche nominato commissario straordinario, per la gestione della società, Giancarlo D'Andrea, già designato amministratore unico di Tirrenia e Siremar con il dl 103/2010, approvato mercoledì dalla Canmera.

L'atto di Berlusconi arriva all'indomani della dichiarazione, da parte di Fintecna, di «chiusura senza esito» della procedura di privatizzazione di Tirrenia e Siremar. E dopo la quasi contestuale predisposizione, con un ulteriore decreto del consiglio dei ministri, approvato in tutta fretta, di una serie di misure per dare alla compagnia risorse economiche sufficienti a garantirne la continuità operativa. Misure che (come anticipato ieri dal Sole 24 Ore) erano il preludio proprio all'amministrazione straordinaria. Secondo quanto prevede la legge Marzano, ora D'Andrea ha la possibilità di portare i libri della società in tribunale e iniziare un iter che può condurre, si legge nella norma, a «operazioni di cessione e di utilizzo di beni, di aziende o di rami di aziende dell'impresa» ma anche alla procedura di fallimento per Tirrenia. L'elemento che ha fatto saltare il banco, in una gara già aggiudicata a Mediterranea holding (spa composta da imprenditori, armatori e dalla Regione Siclia, col 37%), è stata la richiesta della società di rinviare, di qualche giorno, la firma del contratto, prevista per mercoledì 4. Una richiesta scaturita dal fatto, dicono i soci della spa, che Fintecna, l'azionista di Tirrenia, in quell'accordo ha previsto solo una clausola di rescissione a proprio favore; e non la possibilità, voluta invece da Mediterranea e segnatamente dalla Regione Sicilia, che la società potesse rompere l'accordo, nel caso le 53 banche creditrici di Tirrenia non confermassero, dopo l'aggiudicazione, le linee di credito alla compagnia. Di fronte a questa situazione, Fintecna ha deciso di non concedere il rinvio e di far saltare la privatizzazione.

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A nulla è servito, ieri, l'estremo tentativo degli azionisti di Mediterranea di rientrare in gioco. Il presidente della società, Salvatore Lauro, spiega: «Oggi (ieri per chi legge, ndr) abbiamo scritto a Fintecna, chiedendo di essere convocati per firmare il contratto, nella forma in cui ci è stato proposto, perché la Regione Sicilia ha superato le sue perplessità». Ma Fintecna ha deciso diversamente. In una nota ufficiale, Mediterranea sottolinea che la finanziaria del ministero dell'Economia «ha preteso l'impossibile» e ravvisa una «evidente volontà della politica di azzerare l'unica seria possibilità di recuperare Tirrenia all' equilibrio economico».

La spa si impegna, in ogni caso, «a proseguire gli sforzi per evitare lo smembramento di Tirrenia e Siremar e rilanciarne la operatività». Alexis Tomasos, a.d. di Mediterranea e principale azionista privato (col 30,5%), aggiunge: «Se non si troverà una soluzione, avvieremo un'azione risarcitoria contro Fintecna». Una nota della Regione Sicilia sostiene che Fintecna «ha dato il colpo di grazia a Tirrenia, al cabotaggio verso la Sardegna e ai trasporti verso le isole minori siciliane» e che la risposta alla disponibilità di Mediterranea «è stata quella di far fallire il gruppo Tirrenia». Comprensibile agitazione arriva dai sindacati. A fronte della decisione di ricorre all'amministrazione straordinaria, Giuseppe Caronia (Uiltrasporti) afferma che si è svelato «il vero obiettivo del Governo», che è il «preludio allo spezzatino». E aggiunge che il sindacato «si renderà disponibile a sostenere qualunque azione di lotta che i lavoratori dovessero decidere per impedirne l'attuazione».

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