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Questo articolo è stato pubblicato il 11 agosto 2010 alle ore 19:50.
Fumata nera per Tirrenia. Il tribunale fallimentare di Roma avrebbe dovuto pronunciarsi sull'istanza di insolvenza della compagnia presentata dal commissario straordinario Giancarlo D'Andrea, ma ha rimandato la decisione. Il collegio, presieduto da Ciro Monsurrò (delegati Francesco Taurisano e Fabrizio Di Marzio), si dovrà esprimere anche sull'eccezione di competenza territoriale presentata dalla Uil trasporti, secondo la quale il giudizio spetta al tribunale di Napoli, dove ha sede legale il gruppo di navigazione.
Nell'udienza di oggi in camera di consiglio, durata poco più di un'ora, a quanto si è appreso D'Andrea avrebbe fatto una relazione sulla struttura dell'azienda mentre il suo avvocato Andrea Zoppini - affiancato dal collega Aristide Police, nel 2008 presidente per quattro mesi di Alitalia - avrebbe difeso la scelta del Tribunale di Roma per il ricorso, dal momento che nella capitale vengono assunte le decisioni più importanti del gruppo di navigazione.
Uscendo dal tribunale, Police ha spiegato ai cronisti che la decisione sulla competenza territoriale è distinta da quella sull'insolvenza aggiungendo: «Confidiamo di aver scelto bene il giudice competente». Dopo la dichiarazione di insolvenza, il commissario può procedere alla ricerca di acquirenti degli asset che intenderà cedere.
Quanto all'eccezione sollevata per volere del segretario generale della Uiltrasporti, Giuseppe Caronia, e ammessa nel procedimento, l'avvocato Massimiliano Vannicola ha spiegato che si chiede di «rigettare la richiesta di dichiarazione di insolvenza per difetto di competenza territoriale, dichiarando competente il tribunale di Napoli» dove si trova la sede fin dalla sua costituzione, «la direzione operativa e di armamento della flotta e il centro informativo dell'intero gruppo».
Inoltre, la Uil trasporti chiede «di rigettare la richiesta stessa per carenza assoluta dei presupposti di legge» in quanto l'insolvenza, «a prima vista non appare, ma sembra solo provocata ad arte dal socio unico (lo Stato ndr.), che ha all'ultimo momento rifiutato di vendere la società "in bonis" a chi si faceva carico di tutti i debiti societari».