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Questo articolo è stato pubblicato il 13 ottobre 2010 alle ore 20:37.
I grandi quotidiani finanziari internazionali puntano sulle nuove tecnologie e iniziano a raccogliere qualche importante risultato degli investimenti su tablet e web. Mettere a pagamento i contenuti della versione online è stata una scelta di molti media internazionali per tornare a rendere profittevole il business dell'informazione. Ecco le strategie seguite da alcuni grandi gruppi editoriali e che si sono dimostrate azzeccate, segnalate sul rapporto "Shaping the future of Newspapers" curato dalla Wan Ifra, associazione mondiale degli editori di giornali, e distribuito al World Editors Forum di Amburgo.
Un sondaggio di Pricewaterhouse & Coopers ha dimostrato che gli utenti sono disposti a pagare per avere informazione online ad una condizione: che gli stessi contenuti non siano disponibili gratuitamente su un altro sito. Alla domanda per quale tipologia di notizie potresti mettere mano al portafoglio, la percentuale più alta di risposte è quella relativa alla voce "finanza". Anche alla luce di questa indicazione, appare logica la scelta di Wall Street Journal e Financial Times, i principali quotidiani economici al mondo, di mettere a pagamento i contenuti pubblicati sul loro sito. La stessa strada la imboccherà dal prossimo anno anche il New York Times.
La News Corp del magnate Rupert Murdoch, che ha acquistato il Wall Street Journal nel 2007, utilizzerà lo stesso modello detto "paywall" anche sugli altri siti di informazione del gruppo. Anche quelli non specializzati come il Wall Street Journal. Un altra tipologia di informazione per cui, stando ai sondaggi, gli utenti si sono detti disposti ad aprire il portafoglio è infatti quella locale. Così si spiega come mai alcuni quotidiani del Dow Jones Local Media Group (la divisione locale del gruppo editoriale) si siano già portati avanti mettendo a pagamento dai primi di gennaio parte della propria offerta editoriale online.
Chi ha avviato un sistema di pagamento online già da tempo è il gruppo editoriale messicano Reforma, anch'esso specializzato nell'informazione iper-localizzata. I siti dei suoi quotidiani peraltro forniscono anche un servizio, molto gettonato, per cercare e offrire lavoro. «Quando abbiamo fatto il passaggio da free a pagamento (dal 2002) - ha detto Josè Menèldez vicepresidente con delega ai "new media" - ci aspettavamo un calo del 90% delgi utenti. Invece è stato di appena il 25% e i ricavi pubblicitari sono sorprendentemente aumentati».