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Economia Lavoro

Cercansi mille manager «rosa»

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Questo articolo è stato pubblicato il 23 ottobre 2010 alle ore 11:30.

Quasi mille poltrone. Le cariche che dovrebbero ricoprire le donne nei prossimi tre anni se passasse la legge sulle quote di genere sfiorano quota mille, con una ripartizione di circa 300 posti all'anno. La stima è stata elaborata dalla società di consulenza Aliberti Governance Advisors, che ha preso in esame tutti gli organi sociali.

La proposta di legge approvata dalla Commissione Finanze e dal ministero dell'Economia, seppure con qualche correzione, prevede che un terzo dei consigli di amministrazione e dei collegi sindacali sia riservato al genere meno rappresentato. Nell'ipotesi che la legge venga approvata dal parlamento e rispettando la scadenza naturale dei consigli nei prossimi tre anni, sarebbe necessario l'ingresso di circa 287 donne ogni anno, tenuta costante la media degli incarichi che nel 2010 era di 1,13 per le donne già presenti nei board.
Nello spaccato, disegnato da Aliberti Governance Advisors, le posizioni mancanti nei cda su tre anni di rinnovo sono 712 in tutto rispetto ai livelli attuali, che vedono le donne appena al 6,8%. Nei consigli di sorveglianza, dove la rappresentanza femminile è ferma al 3,3%, sarebbero 29 i nuovi ingressi, mentre nei collegi sindacali, che contano il 7% di donne (10% compresi i sindaci supplenti), sarebbero da coprire 221 cariche.

Un calcolo che dà la dimensione dell'impatto che la norma potrebbe avere negli organi di governo delle società ma anche sul mercato di caccia degli headhunter. In Francia la ricerca della manager o professionista con l'esperienza e le competenze necessarie per sedere in un board è già cominciata proprio su stimolo del disegno di legge ora all'approvazione del Senato per l'introduzione di quote di genere nei cda. In Italia ancora non si muove nulla in questa direzione e le scelte delle società che hanno deciso di puntare sulla diversity sono interne, come nel caso di Azimut nel cui board è entrato il direttore generale Paola Mungo, o esterne, come nel caso di Cofide che dalla primavera scorsa conta fra i consiglieri Francesca Cornelli, professore alla London business school.

Certo, i numeri della proiezione della società di consulenza guidata da Livia Amidani Aliberti sono ben lontani da quanto è avvenuto nella ultima tornata di rinnovi dei consigli: nella primavera del 2010 le assemblee hanno eletto 22 donne «nuove» nei cda, ma ben 9 allo stesso tempo sono uscite dalla sala dei bottoni, quindi il saldo è stato positivo per 13 unità. Poca cosa se confrontato ai numeri che implica il progetto di legge Golfo-Mosca, in attesa ora del via libera del governo per passare in sede legislativa direttamente al Senato.

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Per ora ha incassato un assenso condizionato del Tesoro, che ha posto tre condizioni, che sono state sintetizzate dal sottosegretario all'Economia, Sonia Viale, durante una riunione della commissione. In primo luogo il Tesoro chiede di utilizzare la dizione «criterio di riparto» piuttosto che quella di «riparto» per quanto riguarda la presenza delle donne nei cda. Un rilievo puramente tecnico, che non cambia l'impianto della legge. Inoltre, nel caso di sostituzione di amministratori o sindaci prima della scadenza del termine si chiede di «sopprimere» la norma che obbliga anche in questo caso al rispetto del principio di equilibrio tra i generi «poiché - ha sottolineato Viale - tale previsione risulterebbe di difficile applicazione in quanto l'appartenenza ad un genere costituirebbe l'unico criterio di scelta». Infine, il sottosegretario ha sollecitato a cancellare la parte in cui si prevede lo stesso obbligo anche per i comitati di controllo sulla gestione previsto nelle società che adottano il sistema monistico.

La prossima settimana si potrà già sapere se le firmatarie e i gruppi parlamentari accetteranno gli emendamenti del Tesoro e se così fosse potrebbe poi arrivare a breve anche il parere del governo, che è atteso in linea con quello del ministro dell'Economia Giulio Tremonti.

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