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Economia Gli economisti

Stati Uniti e Cina indeboliscono dollaro e yuan, ma Pechino così riduce la domanda aggregata mondiale

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Questo articolo è stato pubblicato il 29 ottobre 2010 alle ore 15:58.

Di recente molti commentatori hanno equiparato le lamentele dell'Europa nei confronti del dollaro debole alle lamentele degli Stati Uniti per il renminbi cinese sottovalutato. Prendiamo per esempio un commento pubblicato sul Financial Times del 14 ottobre scorso che esaminava il modo in cui l'atteso allentamento quantitativo da parte della Federal Reserve ha determinato un deprezzamento del dollaro contro il renminbi e le valute europee.

L'articolo diceva: «Un alto funzionario europeo, che ha chiesto di rimanere anonimo, ha affermato che una nuova fase di allentamento monetario aggressivo da parte della Fed sarebbe "irresponsabile" in quanto renderebbe le esportazioni americane più competitive a spese dei concorrenti». In altre parole, questa affermazione equivale a dire agli Stati Uniti: come osate agire per proteggere la vostra economia dalla deflazione e dalla disoccupazione a due cifre? Facendolo rendete la nostra inopportuna politica di austerità ancora più distruttiva! La teoria dell'equivalenza è infondata, come appare ovvio se si considerano gli aspetti fondamentali della situazione.

Ciò che la Fed sta tentando di fare attraverso l'allentamento quantitativo, ossia l'immissione di moneta nell'economia, è promuovere una politica monetaria espansiva e incrementare la produttività in un contesto economico depresso e sotto la minaccia della deflazione. Cos'altro potrebbero fare gli Stati Uniti? Ora, è vero che l'indebolimento del dollaro è un effetto di questa politica, in mancanza di misure analoghe all'estero, ma di certo non ne è lo scopo primario. In realtà, mentre nel complesso l'allentamento quantitativo in America risulta espansivo negli Stati Uniti, le sue conseguenze nel resto del mondo sono tutt'altro che scontate. Questo perché il dollaro più debole tende a ridurre il deficit commerciale statunitense, ma poi l'economia americana più forte tende a incrementare il disavanzo, rendendo quindi incerto l'effetto netto.

Ora confrontiamo questo scenario con la situazione cinese. La Cina punta a uno yuan debole, ma per combattere l'inflazione e non la deflazione, quindi la sottovalutazione della moneta cinese deve essere associata a politiche di credito restrittive in ambito domestico (quasi a confermare la mia opinione circa l'infondatezza di questa argomentazione, la banca centrale cinese ha innalzato i tassi d'interesse il 19 ottobre). L'effetto complessivo di quest'ultima misura è quindi una riduzione, e non un aumento, della domanda mondiale, per proteggere l'economia cinese dal surriscaldamento, e l'impatto generale di entrambe le politiche sulle economie estere è chiaramente negativo.

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In sostanza, gli Stati Uniti stanno perseguendo una politica che dà impulso alla domanda globale, ma ha come effetto collaterale l'indebolimento del dollaro. La Cina persegue la politica dello yuan debole e per contrastarne gli effetti inflazionistici sul mercato interno, vi abbina una politica monetaria restrittiva, che riduce la domanda aggregata mondiale.

Le politiche di questi due paesi non sono affatto equivalenti. La Fed si sta muovendo nella giusta direzione, sia dal punto di vista degli interessi americani, sia per le sorti del mondo in generale. La Cina sta impoverendo i propri vicini, che in questo caso significa tutti gli altri paesi, e questo peggiora le cose a livello mondiale. (Traduzione di Francesca Marchei)

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