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Il male oscuro delle banane e la rivolta del couscous. Ecco come il libero mercato può battere la fame

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Questo articolo è stato pubblicato il 07 gennaio 2011 alle ore 07:59.
L'ultima modifica è del 07 gennaio 2011 alle ore 07:36.

«La prima reazione è stata quella di cercare di tenere nascosto il contagio. Nessuno voleva ammettere di esserne vittima. Ma ormai non più: è tutto alla luce del sole». Le parole di Robert Borsato, coltivatore di banane australiano, danno l'impressione che la pestilenza virulenta e letale a cui fa riferimento sia l'Aids. O qualcosa di simile.

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In realtà è molto peggiore. Per le banane. Perchè non c'è cura, né è stato ancora trovato il modo di contenere l'epidemia. Se contagia, la pestilenza uccide la pianta facendone marcire i frutti. Fino a produrre un odore fetido quasi come quello di un cadavere. Il fungo - nome scientifico Razza tropicale 4 - è emerso alla fine degli anni 80 a Taiwan, dove ha distrutto il 70% delle coltivazioni di Cavendish, la varietà di banana che rappresenta oltre il 90% delle esportazioni. Poi si è diffusa in Indonesia, dove sono stati devastati 5mila ettari di coltivazioni. Con la stessa aggressività si è successivamente abbattuto su Malaysia, Cina, Filippine. E, più recentemente sull'Australia.

Avendone vista la virulenza, Borsato è convinto che prima o poi il fungo sbarcherà sull'ultima spiaggia della Cavendish - l'America latina e caraibica, da dove americani ed europei importano ogni anno oltre 5 miliardi di tonnellate di banane. Con il giornalista della rivista americana New Yorker che lo ha intervistato per un lungo reportage dall'inquietante titolo "Non abbiamo banane", Borsato non ha usato mezzi termini: «Questa merda circola. E gli americani faranno bene a tenersi pronti. Perché presto potrebbero svegliarsi e non trovare più banane». Lo stesso vale per gli europei.

E allora si rimpiangeranno i tempi della guerra delle banane, il lunghissimo contenzioso commerciale durato oltre due decenni tra Unione Europea e Stati Uniti, i quali accusavano gli europei di imporre forti dazi sulle importazione di banane che non provenissero dalle ex colonie in Africa, nei Caraibi e nel Pacifico. Lo scontro si è concluso nel dicembre del 2009 con un compromesso che porterà gli europei a ridurre gradualmente le tariffe, ma se non si riuscirà a fermare l'epidemia finirà con il rivelarsi del tutto superfluo. O sterile. Come le Cavendish stesse.

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All'origine di questa potenziale catastrofe alimentare è proprio la sterilità delle banane selezionate per il consumo e l'esportazione, le Cavendish, che si propagano asessualmente quando nuovi ceppi nascono dalle radici della pianta del banano. Pur esistendo in natura molteplici varietà, da quelle con la buccia rosa-chewing gum a quelle con la polpa arancione, la banana da esportazione oggi è praticamente una sola, la Cavendish. Che ha il pregio di essere facile da trasportare, grande e relativamente saporita, tutti fattori che hanno determinato il suo straordinario successo commerciale rendendo l'intero business monocoltura-dipendente. Questo sarebbe già in sé un problema, ma in aggiunta la Cavendish pecca di scarsa diversità genetica.

Il fungo Razza tropicale 4, che è solo la più recente seppur più deleteria variante patogena, esiste probabilmente da sempre. E probabilmente i danni sarebbero stati limitati se il colosso americano che un tempo si chiamava United Fruit ma che dopo essersi sporcato mani e nome sponsorizzando almeno due colpi di stato (nel 1911 in Honduras e nel 1954 in Guatemala) cambiò nome in Chiquita, non avesse trasformato in una delle più diffuse commodity al mondo il curioso frutto tropicale scoperto dai portoghesi nell'Africa occidentale e da loro importato nei Caraibi e in America centrale agli inizi del '500.

Negli anni d'oro della United Fruit, la varietà coltivata era un'altra. Si chiamava Gros Michel o Big Mike. Ma fu cancellata dal mercato negli anni 50 da un'altra pestilenza, e sostituita dalla Cavendish. Gli scienziati hanno appurato che il fungo uccide bloccando il sistema vascolare delle piante infette. «Inizialmente si pensava che a uccidere fossero le tossine del fungo, ma adesso riteniamo che qualcosa faccia scattare un meccanismo che induce la pianta a suicidarsi». In gergo scientifico il meccanismo è chiamato "morte cellulare programmata". Poiché la continua propagazione del Razza tropicale 4 viene data quasi per scontata (sebbene i consumatori non sappiano ancora niente di quello che li aspetta), gli addetti ai lavori più che una cura sperano si riesca a trovare una varietà di Cavendish resistente al fungo.

A Brisbane, in Australia, il professore della Queensland University of Technology James Dale è impegnato nella modificazione genetica di Cavendish da circa 20 anni. E con il suo team è alla ricerca di un un gene che possa agire da interruttore disattivando il meccanismo di morte cellulare programmata. In pratica un gene che impedisca alla pianta di suicidarsi. Ma c'è anche chi cerca una soluzione con metodi di selezione tradizionali. In primis l'agronomo honduregno Juan Fernando Aguilar, il quale ha scoperto che le Cavendish non sono del tutto sterili. Con una procedura di fertilizzazione forzata, Aguilar è riuscito a produrre un seme ogni diecimila banane. Da uno di questi preziosissimi semi è nata ha una piantina - codice 06-04-333 - che lui chiama "mi esperanza". La speranza è che sia la capostipite di una nuova Cavendish a prova di fungo.

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