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Questo articolo è stato pubblicato il 01 febbraio 2011 alle ore 08:07.
«L'Eni sta rimpatriando 300 italiani, le Ferrovie dello Stato hanno già iniziato nel fine settimana e oggi dovrebbero completare il rimpatrio dei connazionali e dei familiari. Anche altri si stanno muovendo: Edison, Telecom. Aspetti un attimo... ». La telefonata con l'ambasciata italiana in Egitto si interrompe per pochi secondi, all'altro capo del filo una breve conversazione. Poi riprende: «Mi scusi, devo lasciarla perché mi hanno comunicato adesso che è stato aggiunto un volo da Alessandria e devo avvertire il console. Mi richiami».
La caotica fuga dall'Egitto non riguarda solo i turisti ma anche molte imprese, in buona parte sorprese dal precipitare degli eventi.
Banche italiane esposte in Egitto per 4,6 miliardi
Con voli privati o di linea stanno precipitosamente riportando a casa i dipendenti italiani e le loro famiglie. In tutto 15mila, di cui 8.500 presenti in modo stabile. «Francamente non mi aspettavo un'evoluzione così veloce» afferma Silvio Albini, consigliere delegato dell'omonimo gruppo che è in Egitto da appena due anni con una piccola piantagione di cotone e due stabilimenti per filati di alta qualità. «220 dipendenti, nove italiani: cinque sono già rientrati, per gli altri siamo in attesa di istruzioni dal ministero degli Esteri». C'è scoramento nelle parole di Albini: una nuova mazzata dopo la crisi dei consumi e l'aumento delle materie prime. Poi si riprende: «Non abbiamo subito danni, per cautela abbiamo sospeso da tre giorni la produzione e siamo fiduciosi di poter riprendere quanto prima. 20 milioni di investimenti non sono pochi».
All'help desk di Assafrica Confindustria, attivato giovedì scorso «non sono state segnalate situazioni critiche» spiega il direttore Pier Luigi D'Agata. «Abbiamo fatto il punto con l'unità di crisi della Farnesina e la situazione tende a migliorare».
Qualche danno lo ha subito la Asa international controllata dal gruppo Gesenu. Dal 2003 gestisce il ciclo dei rifiuti per metà del Cairo, che vuol dire 5,5 milioni di abitanti. «I nostri uffici sono in piazza Tahrir, l'epicentro delle proteste - spiega dall'Italia l'a.d. Carlo Noto La Diega - li vedo su Al Jazeera. Abbiamo 5.500 dipendenti, quasi tutti egiziani. Il management è italiano e lo aspetto tra qualche ora a Fiumicino. Da cinque giorni non sappiamo cosa fare. Abbiamo preso misure di sicurezza per proteggere i nostri 350 camion distribuiti in sette officine. Abbiamo subito un furto in uno degli uffici, hanno rubato i computer e distrutto il resto». Danni limitati, certo, «ma giammai mi sarei aspettato una situazione del genere, per quanto fossero evidenti i limiti del regime di Mubarak». Il problema che si porrà appena la situazione si sarà stabilizzata «è capire se gli interlocutori sono rimasti gli stessi o no. Abbiamo un contratto fino al 2018». Preoccupazione che tocca anche chi esporta dall'Italia: «Molte imprese egiziane sono legate all'attuale regime. Che fine faranno?» si chiede Giuseppe Lesme, presidente dei produttori di macchine per l'imballaggio.