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Questo articolo è stato pubblicato il 21 giugno 2010 alle ore 17:41.

Una mossa tattica, alla vigilia del G-20, per togliere dal tavolo dei grandi uno dei principali punti all'ordine del giorno. Si va consolidando l'ipotesi che la decisione annunciata sabato dalla banca centrale cinese di rendere più flessibile il cambio dello yuan non porterà ad un terremoto nel mercato dei cambi. Tanto per cominciare, nessuna misura specifica per ora è seguita all'annuncio. «Non sussistono le basi per un apprezzamento su larga scala dello yuan» aveva già avvertito la stessa banca centrale, in assoluta sintonia con il governo.
La Cina riformerà il tasso di cambio della propria moneta «in modo graduale e controllabile» ha detto infatti oggi il vice ministro del Commercio, Fu Ziying aggiungendo che la rivalutazione dello yuan dipenderà dalla situazione economica e finanziaria del paese. Fu ha poi detto di essere fiducioso che le compagnie cinesi saranno in grado di continuare a essere competitive nei mercati globali. Questo è infatti il nodo del problema. «La Cina non può permettersi un aggiustamento significativo del tasso di cambio - spiega Lorenzo Stanca, economista e partner di Mandarin Fund, il fondo di investimento italo-cinese - perchè è troppo preoccupata di non mettere fuori mercato una parte delle proprie aziende creando disoccupazione. Nei nostri colloqui con le autorità cinesi questa è la prima preoccupazione che emerge nella loro politica economica».
Ciò non impedisce al predsidente della Bce, Jean-Claude Trichet, di accogliere con ottimismo la decisione. «Va nella giusta direzione, corrisponde all'interesse della Cina, della sua economia e all'interesse dell'economia globale» ha detto all'Europarlamento, sostenendo che si va verso la «stabilità e una maggiore prosperità a livello globale». Le parole di Trichet si aggiungono ad un comunicato congiunto con cui la Bce, insieme all'Eurogruppo, aveva salutato con soddisfazione la decisione e «incoraggiato» le autorità cinesi «a dare maggiore flessibilità all'effettivo tasso di cambio del renminbi, che punti a promuovere un miglior equilibrio dell'economia in Cina e a livello globale».
Di parere completamente opposto è il premio Nobel, Robert Mundell, secondo il quale il ritorno ad un cambio più flessibile della valuta cinese può erodere non solo la stabilità dell'economia cinese ma anche di quella globale. E a proposito del presidente americano, Barak Obama, che ha accolto con soddisfazione la notizia, ha commentato: «Non è un economista». Ma quando Mundell ha incontrato i giornalisti ad Hong Kong, Trichet non aveva ancora parlato. Chissà quale sarebbe stato il commento....
Nonostante il tasso di cambio alla riapertura dei mercati dopo l'annuncio di sabato abbia visto lo yuan salire ai massimi da cinque anni a questa parte sul dollaro, analisti ed economisti guardano con scetticismo all'attegiamento cinese. I movimenti di oggi, infatti, sono rimasti contenuti nella consueta banda di oscillazione giornaliera prevista dalla Banca centrale del Dragone nel suo rigido sistema di controllo dei cambi. Nel pomeriggio in Cina il dollaro si scambiava a 6,7974 yuan sul mercato interbancario, secondo Dow Jones, rispetto ai 6,830 yuan di venerdì scorso. Scarsi movimenti invece sull'euro che inizialmente è rimasto in linea con i livelli di venerdì e poi ha leggermente perso terreno attestandosi a 8,4229 yuan (-0,26% nelle rilevazioni di Bankitalia) .
Uno dei più scettici, tra gli economisti, è Nouriel Roubini, il quale teme un «effetto paradossale» della decisione cinese che comunque saluta come «il primo segnale significativo di un cambiamento della politica valutaria di Pechino». Roubini teme che la reazione sia esattamente opposta a quella che gli Stati Uniti auspicano: invece che un rafforzamento della valuta cinese ipotizza l'indebolimento dello yuan se l'euro dovesse continuare a deprezzarsi. «Lo yuan - ha detto l'economista della New York University - negli ultimi mesi si è rafforzato molto nei confronti dell'euro che era sotto pressione per i debiti sovrani della zona euro. Perciò non è scontato che si possa andare verso uno yuan più forte».
In ogni caso, secondo Roubini, «anche se i cinesi consentissero un graduale apprezzamento del renminbi nei confronti del dollaro, si tratterà di una rivalutazione modesta nel corso del prossimo anno, non superiore al 3-4 per cento, dal momento che il surplus commerciale si è ridotto, la crescita in Cina sembra destinata a rallentare e la conflittualità nel mercato del lavoro resta una fonte di preoccupazione».
Un apprezzamento non superiore al 5% si aspetta anche Willy Lam economista della Chinese University ad Hong Kong, per il quale quello di Pechino «è chiaramente un tentativo di evitare di fare da bersaglio al G-20». Posizione con cui concorda Mitul Kotecha analista di Credit Agricole. Per Anthony Crescenzi della Pacific Investment Management «ogni sostanziale reazione probabilmente verrà meno nel breve periodo perchè ci sono altri fattori macroeconomici di maggiore portata, come la crescita più lenta, i timori per il rischio paese e e gli effetti del credit boom».
Le prossime settimane saranno importanti per capire non solo le reali intenzioni della Cina ma anche gli effetti reali di una maggiore flessibilità del cambio qualora le autorità monetarie e politiche di Pechino tenessero fede a quella per ora è solo una promessa.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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