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Questo articolo è stato pubblicato il 19 novembre 2010 alle ore 08:59.
«Abbiamo iniziato con queste 15 anni fa», dice con una punta d'orgoglio l'accompagnatore del museo, mostrando batterie ricaricabili custodite in una teca come se fossero sacre reliquie. «Dopo di che abbiamo cominciato a costruire anche componenti e stampi per computer e telefonini, e poi ci siamo buttati sull'auto elettrica», soggiunge. Costruire un museo dopo soli tre lustri di vita? Impensabile in qualsiasi altra parte del mondo. Ma qui a Shenzhen, la città simbolo del neo-capitalismo cinese e cuore pulsante dell'industria manifatturiera del Dragone, il tempo corre veloce e cinque anni di storia equivalgono a trenta vissuti in qualsiasi altra parte del pianeta.
È il 1995. Wang Chuanfu, un ingegnere chimico specializzato in materiali compositi, decide di mettersi a fabbricare in proprio batterie ricaricabili. Raggranella 300mila dollari tra amici e familiari e fonda Byd, un piccolo opificio che al debutto dà lavoro a una ventina di dipendenti. Il mercato tira, Wang ha il naso per fiutarne in anticipo l'evoluzione e, in soli cinque anni cavalcando il boom globale della telefonia mobile, l'azienda di Shenzhen diventa il secondo produttore di batterie ricaricabili alle spalle del gigante giapponese Sanyo. Il successo è tale che, nel 2003, Wang decide di quotare il suo gioiellino alla Borsa di Hong Kong. Il collocamento va a gonfie vele e, con i capitali freschi raccolti sul mercato, l'imprenditore cinese pensa bene di finanziare un'altra intuizione: produrre automobili sulle quali applicare le tecnologie di Byd nel campo dell'accumulazione elettrica.
Dopo un biennio di studio, e un paio di modelli costruiti e gettati nel cestino, dagli stabilimenti di Shenzhen escono le prime quattroruote marchiate Byd. L'alimentazione è a benzina, ma è un passaggio necessario per arrivare allo sviluppo in serie dell'auto elettrica. Che oggi l'azienda, frattanto balzata ai primi posti tra le case automobilistiche cinesi con 450mila unità vendute nel 2009, è ormai pronta a lanciare sul mercato.
Gli analisti del settore sono pronti a scommettere che, forte del know how nella progettazione e costruzione di batterie (che rappresentano la componente più delicata nella produzione di un'auto elettrica), Byd ce la farà. E prima di loro, a scommettere sul successo dell'azienda cinese, è stato un finanziere oculato e lungimirante come Warren Buffett, che nel 2008 ha acquistato il 10% della società.
La fulminea parabola del signor Wang (frattanto catapultato ai vertici delle classifiche degli uomini più ricchi di Cina) e della sua creatura industriale rappresentano perfettamente la profonda trasformazione subìta da Shenzhen nell'ultimo decennio. Proprio come la Byd, infatti, il villaggio dei pescatori del Guangdong scelto da Deng Xiaoping a fine anni Settanta come città-laboratorio per lo sviluppo del "socialismo di mercato" ha cambiato pelle. E continua a cambiarla ogni giorno che passa.