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Questo articolo è stato pubblicato il 27 dicembre 2010 alle ore 10:50.
Il trattato di Lisbona ha tolto agli stati membri ogni spazio per corsie preferenziali di tipo bilaterale sul fronte degli investimenti internazionali. Un passo necessario perché l'Europa faccia sentire la propria voce collettiva in ambito internazionale, ma ogni nazione europea ambisce a massimizzare la propria posizione come partner privilegiato delle maggiori economie emergenti del mondo. Il corteggiamento italiano appare però piuttosto una rincorsa affannata.
Nel 2009 la Francia ha generato un volume di commercio con la Cina di oltre 40 miliardi di euro. Per l'Italia, pur in ripresa nei primi mesi del 2010, si sono superati i 46 miliardi di interscambio solo considerando tutti i Bric. La bilancia commerciale è strutturalmente in rosso. La bolletta energetica con la Russia, e più in generale la necessità di approvvigionarsi di materie prime, continua a pesare. Le Pmi italiane, dal canto loro, trovano difficile cavalcare l'onda dei Bric date le distanze geografiche e culturali, i dazi e le richieste burocratiche, le croniche dimensioni ridotte. Pur se sono innegabili i progressi dal 2000 a oggi, l'Italia è 22° partner cinese per le esportazioni e 13° per le importazioni. Giungiamo sesti tra i fornitori mondiali russi, mentre siamo solo 23° partner commerciale per l'India. Anche se in Brasile l'Italia è il terzo maggior esportatore Ue, il mercato è per molti aspetti ancora da esplorare.
Sul fronte degli investimenti, i dati Reprint-Ice confermano una presenza nei Bric in crescita negli ultimi sette anni, con punte per India e Cina. Secondo le stime del Cesif (Centro studi per l'impresa della Fondazione Italia Cina), circa 2.300 imprese italiane operano in Cina, uffici di rappresentanza inclusi. E non si può dimenticare che la più grande fabbrica italiana al mondo si trova in Brasile: la Fiat, a Betim.
Ma non basta per colmare il ritardo. Le italiane in Cina hanno un quarto delle vendite delle francesi. Pesa il solito problema dimensionale: le grandi aziende italiane hanno esposizione ai Bric comparabili ai loro concorrenti, ma sono poche. Delle tante realtà a controllo familiare, solo alcune sono multinazionali tascabili e ancora meno sono quelle con presenza Bric. Lo dimostra la posizione degli italiani nel ranking degli investitori nei singoli paesi: 18° in Brasile e in Cina, 12° in India, in Russia non figuriamo tra i primi 10.
La diplomazia italiana sta cercando di correre al riparo. Obiettivo: creare una regia comune in grado di superare la frammentazione di iniziative e la dispersione di informazioni e risorse. Le principali missioni di sistema, dal 2009, hanno riguardato a ruota i 4 emergenti d'eccellenza. Numerosi gli accordi siglati, dagli ambiziosi traguardi.