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Questo articolo è stato pubblicato il 13 dicembre 2010 alle ore 10:10.
Anche i cinesi hanno scoperto le delizie dei diritti di proprietà intellettuale. Accusata di essere allergici al tema, a scapito, ovviamente, delle aziende straniere, la Cina si sta rivelando un vero campione nella registrazione di marchi e brevetti. A casa, ma anche all'estero.
Un'escalation impressionante. Dai 6.800 brevetti del 1987 si è passati ai 582 mila del 2009 registrati dal database Cesif-Fondazione Italia Cina. Nei soli primi sei mesi del 2010, i cinesi hanno depositato 3mila brevetti negli Usa (+31,7%), mille in Europa (+32%), 506 in Giappone (+16,9%). In compenso, gli americani in Cina ne hanno registrati 12.800 (+15,6%), le aziende europee 14.263 (+11,3%), quelle giapponesi 16.587 (+4%). Crescono, quelli "stranieri", però meno di quelli cinesi all'estero.
Yin Xintian, direttore generale degli affari legali dello State intellettual property office (Sipo) non fa una piega e commenta: «Vuol dire che il nostro dipartimento in futuro avrà molto più lavoro». Xintian ha girato l'Europa al seguito di IPr2 (www.ipr2.org), la task force della cooperazione Europa-Cina proprio sui temi della proprietà intellettuale. Il coordinatore del programma, da Pechino, guarda caso, è l'italiano Carlo Pandolfi, una lunga esperienza al World intellectually patent office (www.wipo.int).
La svolta garantista cinese rende ancora più cruciale la difesa dei propri diritti in Cina. L'helpdesk China Ipr (www.china-iprhelpdesk.eu), dedicato dalla Commissione europea alle piccole e medie aziende ammonisce, fin dalla brochure: «In Cina non avete alcun diritto su ciò che non avete registrato». Tanto vale prenderne nota.
«Per le piccole e medi e imprese difendere il know how è un elemento di grande importanza. La Cina sta facendo grossissimi passi in avanti sulla strada della difesa della proprietà intellettuale – puntualizza Fabrizio Iacobacci, avvocato dello studio legale Iacobacci, a margine della presentazione torinese di Understandingchina.eu, il piano per far conoscere meglio la Cina alle imprese europee -. Sembra un paradosso, ma i tempi della giustizia civile e delle sezioni specializzate non sono lunghi, anzi. Ciò che manca, però, è la certezza dell'esecuzione delle sentenze. Prima di andare in Cina, esorto chiunque a valutare quanto vale l'azienda, per piccola che sia, e qual è il mercato. E poi registrare, registrare, registrare».
Tra le aziende italiane più inclini all'internazionalizzazione il tema è molto sentito. Assolombarda ha appena convocato i vertici della Camera di commercio cinese in Italia per parlare con loro proprio di questi aspetti. «L'avevano chiesto le aziende, esplicitamente - dichiara Chiara Fanali responsabile dell'area internazionale di via Pantano - perché spesso, specie quelle più piccole, temono di fare il gran salto».